Bisogna forse vivere sulla propria pelle, quell’incredibile emozione che solo la musica unita alla recitazione sa regalare, per comprendere le profonde ragioni che rendono assolutamente dimenticabile, forse a tratti addirittura detestabile, la riduzione cinematografica di questo capolavoro che continua a registrare il tutto esaurito da ormai 27 anni suonati.
La prima cosa da notare è la base di partenza. Il materiale fornito da Victor Hugo è già di per se strepitoso, e non a caso ha già visto il buio della sala cinematografica parecchie volte, la musica poi fa il resto, portandoci di peso in un mondo altro, terrificante e sublime, abitato da miserandi miserabili alla ricerca di un briciolo di pace.
Non fraintendetemi, la regia di Tom Hooper fa quello che deve fare, riuscendo più di una volta a stupire, come quando decide di riprendere una titanica Anne Hathaway con un intenso ed interminabile piano sequenza che trasuda sofferenza e cinema, eppure non regge il confronto con la versione teatrale, pur con tutti i suoi limiti di spazio e di mezzi.
Se Hugh Jackman è una sorpresa, ma già qualche anno fa agli Oscar aveva dato prova di avere un’anima musical, e Russel Crowe una conferma, bisogna riconoscere che tutto il cast, a partire dalla già citata e straordinaria Hathaway, fino all’istrionico Sacha Baron Coen, funziona alla perfezione. Eppure, quello che qui latita davvero sono l’empatia ed il pathos, due forme di sottintesa e spesso sottovalutata complicità che si deve necessariamente instaurare tra lo spettatore e l’opera d’arte, qualunque essa sia.
Quello che sto cercando di dire è che a fallire è proprio il mezzo cinema, perlomeno visto ed interpretato secondo le regole di oggi, che prevedono un montaggio inesorabile capace di affastellare inquadrature ed alternare primi piani e campi larghi con tanta, troppa velocità, Per tornare quindi al nocciolo della questione, a teatro lo spettatore ha un impagabile sguardo d’insieme, che non è dettato da un regista o da un sapiente montatore che gli dicono cosa deve guardare, ma lo lascia libero di esercitare con entusiasmo il suo libero arbitrio visivo ed emozionale.
Les Miserables è in conclusione un film grandioso, magniloquente e a tratti quasi perfetto, ma per sua fallace natura è un debolissimo musical, pallido ed esangue spettro dell’innegabile, poetica, meravigliosa e commovente emozione, che forse solo il teatro, può regalare.
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VOTO
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