In ogni cultura c’è il romanzo-incubo del povero scolaro, parlo quel librone scritto in un linguaggio pesante come una mattonata sui mignoli, che trabocca tristezza e sembra la fonte della legge di Murphy. A casa nostra il primato va ai poveri Renzo e Lucia che prima di unirsi in matrimonio ne passano davvero di ogni, in Francia a I Miserabili di Victor Hugo, epopea che mi ha perseguitata per tutta la pre-adolescenza (in adolescenza ci ha pensato proprio la nostrana coppia di futuri sposi…). La lezione di lettura francese del giovedì, con lettura in classe del romanzo di Hugo è stata una vera palestra per la mia fantasia: per quattro lunghi anni ho escogitato nuove marachelle pur di udire la frase liberatoria “Toi là-bas, va dehors!” – musica… ☺
A quasi trent’anni di distanza ancora non mi capacito di come sia riuscita nonostante tutto ad amare tanto quei classici che altri miei coetanei, per molto meno, hanno preso in odio per sempre. Fatto sta, che varcare la soglia del cinema ha richiesto comunque qualche esercizio di rilassamento e un bel respiro. Poi, in pochi minuti il quadro è completo, basta infatti l’ouverture per comprendere come volgerà serata: la scena è imponente, i costumi sono dettagliati, i protagonisti sono li sullo schermo e non hanno tempo di scaldare le ugole che già gorgheggiano col povero Jean Valjean bagnato sino al midollo, col cranio pieno di segni ed ai lavori forzati, ma che stringe i denti perché infine intravede la tanto agognata libertà, dopo diciannove anni di detenzione per aver rubato un tozzo di pane.
Eccoci qui nella Francia d’inizio ottocento gremita di gente affamata e stanca, e in cui i più giovani, gli studenti, sono pronti a dare battaglia alle istituzioni. In questo turbolento ambiente si muove il reietto Valjean che una volta uscito di galera è irriconoscibile per tutto l’astio che prova nei confronti del mondo, ma presto si redime, fa solo del bene e “adotta” Cosette, la figlia della povera Fantine madre abbandonata, quindi operaia e infine prostituta malata e morente.
Questa storia di persone miserabili, di sofferenze inenarrabili ma accompagnate da riscatti, di conflitti morali che portano a gesti estremi, affresco storico senza precedenti, nella versione 2012 fa indossare panni spesso scomodi e (finto)consunti ad alcuni tra i maggiori sex symbol del cinema mondiale, qui coraggiosamente trasformatisi nel fisico e pronti a cantare direttamente davanti alla macchina da presa. Così scopriamo che Hugh Jackman ha talento da vendere riuscendo a tenere sulle sue spalle tutto il film sino all’ultimo minuto; e Russell Crowe si mostra molto convito, anche se ai nostri occhi l’unica cosa imponente e di carattere pare essere la sua stazza, per carità non stecca mai, ma Javert nel mio immaginario non collima esattamente con un mascellone ben pasciuto dall’occhio da pesce lesso e un pochetto monocorde.
Tutto il cast fa i compiti a regola d’arte, la scelta di Helena Bonham Carter e Sacha Baron Cohen nelle comiche vesti dei locandieri-truffatori non strabilia solo perché era quasi d’obbligo; da Anne Hathaway e Amanda Seyfried attendevamo una performance che facesse innamorare il pubblico e loro non deludono le aspettative; ma qualcosa manca comunque. Nonostante l’ausilio delle immagini, la rapidità della narrazione (rispetto alla lunghezza del libro, un film di poco meno di tre ore è una passeggiata) e le musiche, che molti (anche non amanti del genere musical) conoscono già, non ci struggiamo, non soffriamo, non palpitiamo e non tifiamo per nessuno. Anzi, con lo scoccare della seconda ora subiamo il trascorrere dei restanti minuti a causa delle oramai dolenti rotule.
Voto: 6+, impossibile affossare un così ben confezionato prodotto carico di otto nomination agli oscar, ma è bello senz’anima! E poi c’è sempre quel dubbio che m’attanaglia: come reagirà il pubblico a un’opera che di diverso non ha solo la recitazione cantata, bensì anche il fatto di essere in una lingua che non è quella dell’amato Manzoni?