Letta e Renzi spiegati da Chomsky

Creato il 14 ottobre 2013 da Albertocapece

Forse molti conoscono il decalogo della manipolazione mediatica che Noam Chomsky, uno dei più notevoli intellettuali del XX° secolo, stilò alla fine degli anni ’80: era un analisi dei metodi comunicativi del potere le cui citazioni abbondano in rete e alcune delle cui considerazioni sono perfino divenute luogo comune senza riuscire però a costruire un’efficace difesa contro i sistemi di persuasione di massa. La cosa curiosa è che il decalogo non è stato scritto da Chomsky, ma è solo una rielaborazione schematica fatta da uno sconosciuto delle tesi espresse dal grande linguista in “Manufacturing consent: the political economy of the mass media” e in altri successivi libri o articoli: una palese auto dimostrazione della loro validità.

Molte tecniche elencate nel decalogo non sono nate ieri, alcune sono millenarie, ma hanno ricevuto una spinta decisiva dalla nascita delle comunicazioni di massa e sono state straordinariamente affinate dallo sviluppo delle neuroscienze. La cosa impressionante è come la manipolazione abbia trovato una conferma esplicita con la crisi economica e con l’opportunità che essa ha fornito ai centri di potere economico e finanziario di comprimere e ridurre la democrazia: in questo contesto la rete con la sua informazione orizzontale e non verticistica ha spesso permesso di scoprire il gioco, anche se molto spesso purtroppo a favore della minoranza alfabetizzata e a quella ancor più ristretta immuno resistente alla facile persuasione. Troppo poco per fornire una vera massa critica.

L’attualità perciò ci fornisce ormai un gigantesco archivio di esemplificazione del decalogo di derivazione chomskiana, grazie al quale possiamo toccare con mano la realtà artificiale nella quale siamo tenuti.

Il primo articolo, il più conosciuto, è quello che riguarda la distrazione, ossia la strategia di portare all’attenzione fatti e problemi marginali, per nascondere quelli più importanti e strutturali o comunque quelli che danno maggior fastidio al potere costituito grazie all’acquiescenza della comunicazione prostituita. E’ un campo molto vasto che va dal semplice silenzio su alcuni fatti e l’ossessivo battage su altri vedi l’oblio caduto sulla manifestazione di difesa della Costituzione contrapposto all’insopportabile tormentone sulle quattro cazzatine di Fonzie a Bari con seguito di interviste e vaniloqui dei probabili futuri clientes. Ma questo può valere anche per il silenziatore quasi assoluto messo sulla rivolta dei forconi, l’anno scorso in Sicilia e Calabria. O per l’attenzione spasmodica alle degradanti vicende sessuali di Berlusconi e della sua corte dei miracoli, mentre si taceva sulle politiche di distruzione dei diritti del lavoro sulle quali tuttavia era d’accordo anche l’indignata opposizione. Ma questo vale anche – e mi dispiace dirlo -per alcuni discorsi di genere che spesso in maniera aggrovigliata badano più agli effetti derivati da un assetto sociale che alle sue radici.

Il secondo  articolo riguarda da vicino la politica dell’ultimo decennio e passa e si chiama gradualità: per fare accettare  misure che susciterebbero resistenze e rivolte, basta andare per gradi e somministrarle a piccole dosi, giorno per giorno, mitridatizzando le coscienze. Quando finalmente ci si accorge che qualcosa è cambiato è già troppo tardi. Ed è così che ci siamo trovati di fronte alla crescita della precarietà, all’abolizione dell’articolo 18, allo svuotamento della giustizia e della scuola e prossimamente della sanità oppure alla trasformazione di un partito della sinistra in un coacervo neo democristiano: prima si è fatto appello alla presunta  ”modernità”, poi si è creata una formazione politica comprendente conservatori e centristi e infine ci si è resi indistinguibili dagli avversari. Questo ha che vedere col quarto articolo che è un completamento ed è definito come strategia del rinvio: evitare di imporre sacrifici immediati, per pretenderne di più pesanti in futuro basandosi su reazioni psicologiche elementari: così si è creato il balletto di Imu e Iva, la prima tenuta in ballo per mesi e abolita per dar vitra tra qualche mese a una tassa più generalizzata e più alta, la seconda giocata di sponda con la prima.

Il terzo articolo riguarda la tecnica di creare un problema inesistente per poi offrire l’unica soluzione possibile. L’esempio principe è l’aver enfatizzato in maniera assurda il problema del debito pubblico per far accettare i massacri sociali resi necessari. e questo con la complicità delle stesse vittime convinte man a mano di una qualche assurda equivalenza tra il bilancio familiare e quello di uno stato.

Vengono poi gli articoli quinto , sesto, settimo e ottavo che riunirei in uno solo e riguardano le strategie volte ad enfatizzare l’emotività visiva e linguistica, a ridurre le possibilità di istruzione, tenere il discorso sempre su livelli rudimentali come se ci si rivolgesse a bambini e a enfatizzare in questo quadro la mediocrità. Pensiamo da una parte ai reality, ai talk show dove se per caso salta fuori un argomento pertinente o tecnico viene immediatamente saltato perché “si perde audience” e poi non nessuno capisce perché è bello vivere in uno stato di mediocre comprensione, dall’altro al corpo a corpo per umiliare le funzioni della scuola e delle università in vista di una privatizzazione di fatto che metta a disposizione il sapere solo per i rampolli delle classi dirigenti.  Mentre si ciancia di merito, si lavora per la mediocrità. Meno si sa e più si è indifesi ed è questo il decimo articolo quello che appunto impone di tenere il più possibile le persone lontane dal sapere in modo che esse si conoscano di sé e delle loro reazioni meno di quanto ne sappia il potere.

Infine il nono articolo prescrive di rafforzare il senso di colpa delle persone: se sei povero, se sei in difficoltà, se non ce l’hai fatta è solo colpa tua che non sei abbastanza abile o malleabile o disposto al compromesso, dunque non puoi accusare nessuno e men che meno metterti a pensare a una società diversa.

Se qualcuno è riuscito ad arrivare fino a questo punto potrebbe chiedersi che senso possa avere questo riassunto al di là di evidenziare  la sua attualità. Il fatto è che siamo alle soglie di una rivoluzione: fino ad ora, parlo non solo dell’Italia, il ceto politico era abbastanza consapevole di tutto questo, raramente per studi, spesso per innata volponaggine, ma ora dopo la definitiva degradazione della politica ad ancella dei poteri forti, dopo la resa subalterna all’economia e alla finanza, si preferisce il personaggio che sia in gran parte aderente alle sue vittime: che ami la mediocrità, che effettivamente creda nel falso problema, che sia distratto e coinvolto nell’emotività indotta dal gioco comunicativo, che abbia un’istruzione limitata anche se accompagnata da pezzi di carta, che sia legato come un salame alla necessità e all’impossibilità di cambiare. Lo si controlla meglio se è coinvolto egli stesso nel gioco al massacro e della menzogna come necessità strumentale. Ed è così che le diverse fenomenologie di Letta e Renzi acquistano un grande rilievo come effettivo futuro della politica.


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