Bene, giriamoci pure attorno e facciamo finta di restare in partita, che se le cose scappano via di corsa non è di certo colpa nostra. C’è del marcio negli appuntamenti, numeretti da incollare in rubrica come fossero cambiali. Tu mi scrivi che c’incontreremo presto, tu forse ancora lo speri. Eppure le parole noi le abbiamo disprezzate, "come stai, io sto bene, non c’è male, ci vediamo il giorno dopo (forse) se ti va". Si finirà come ogni anno a contare i ragazzi da salvare, gli scrutini sono sempre più lunghi e la presidenza non è più quella di una volta. Un gran lavoro di testa a dirla tutta, e forse, non ne vale la pena.
Il lavoro ora consiste nel riempire quel vuoto, colmare la crepa con una mano d’intonaco. Una mano più lesta, magari più economica. Prestare attenzione alle differenze, lavorare di fino lungo le sporgenze, levigare. E’ una fine, e dietro questa fine c’è l’ansia di un domani che non ho più la forza d’immaginare. Perché te lo immagini cosa vuol dire ricominciare, costruire, pensare al mutuo da pagare, le bollette di fine mese e le scatolette per il gatto, te lo immagini? Vuol dire non fermarsi neanche un secondo a guardare l’orologio e domandarsi qual è la strada più breve per tornarsene a casa.
Il destino va’, la sua puntualità...