Lettera a Laura per farla tornare

Creato il 25 aprile 2013 da Patriziacaffiero

Laura è vissuta per quarant'anni nella convinzione che la morte non la riguardasse.

La vita sembra piena di promesse quando sei molto piccola, lei non ha mai voluto comprendere che nello svolgimento della trama di un film è da considerare importante anche il finale.
Da quand'era una bambina si è sforzata di mostrarsi obbediente, ha cercato di comportarsi bene.

Diligente e sorridente all'asilo infantile. Corretta e studiosa a scuola.

Ha desiderato da sempre indossare l'abito da sposa, disegnava sul quaderno grandi tavoli apparecchiati per la festa di matrimonio e ghirlande di fiori chiari.

Era felice immaginando il proprio passo solenne accanto al padre mentre attraversava la chiesa per arrivare all'altare.
La seconda tappa dell'esistenza sarebbe stata mettere al mondo due o tre figli.

Era tranquilla: sapeva che si trattava di desideri semplici e alla portata di tutti, il suo carattere prudente e taciturno la spingeva a non mettere in cantiere sogni troppo impegnativi, aspirava solo a un focolare domestico, alla stabilità della famiglia.

I suoi genitori erano innamorati e sereni, amava le sue due sorelle, così la sua vita assomigliava a un fiume di media portata che nasce da ghiacciai inaccessibili e si muove senza fretta fra gli argini.

Ma considerare il fatto che l'acqua a un certo punto desideri ricongiungersi al mare, questo Laura non voleva metterlo in conto. Accadde che suo padre morì di cancro fulminante all'età di cinquant'anni.

La perdita entrò con un ghigno nella casa protetta dei giochi e delle lunghe giornate serene trascorse fra tv e sorrisi di persone care.

Laura sentì vacillare il pavimento della sua immaginazione, ma con un gioco da prestigiatore rimise presto le cose al loro posto.
Il fidanzato, alto come una quercia, occupò il luogo nella sua mente dove prima risiedeva il papà, e il fiume riprese dopo qualche singhiozzo a scorrere nobile fra gli argini, il mare scacciato fuori vista di nuovo, cancellato da un bosco di pruni cresciuto sotto le montagne sempreverdi.

Però, quando tre anni dopo indossò l'abito da sposa per camminare lentamente verso l'altare, mancava il re sulla scacchiera dei suoi sogni al suo fianco, al cui braccio posare il braccio; c'era un foro di proiettile nella carta del suo miraggio.

La vita cominciava a parlarle all'orecchio, sommessamente, ma Laura non voleva assolutamente ascoltare, stringeva le labbra e cercava di non considerare che esiste per tutti la parte nera della luna, il pupazzo di legno che ti afferra le spalle per portarti via una fetta del mondo che pensavi sarebbe stato per sempre di tua proprietà.

I medici le annunciarono presto che non poteva restare incinta. Una voragine si apriva nella strada dove stava passando con il suo compagno, ma Laura non si rassegnò a perdere una tessera fondamentale del sogno.
Inseminazione artificiale, così decise, e tanta fu la sua ostinazione che rimase feconda contro ogni statistica al primo tentativo.

Laura, che aveva sempre avuto paura degli ospedali, dovette rimanere per ore sdraiata sul lettino ad aspettare che la vita dei bambini entrasse in lei, e nel silenzio respingeva ogni pensiero che non fosse rosa, o bianco, esperta nel rimanere aggrappata alle mura candide della casa che si era immaginata sin dall'infanzia, dove tutto restava al suo posto per sempre, e lei con il marito sorseggiavano il caffè mentre i bambini giocavano nel tinello, e sua madre e le sorelle non sarebbero mai mancate all'appello, e tutto restava incorniciato in un eterno pomeriggio di mezza estate.

Di tre gemelli attecchiti nel suo ventre ne rimase vivo uno solo, Laura fu accompagnata in braccio al funerale di una bambina che visse un giorno, che chiamò Sonia.

Eccola di nuovo la brutta donna con la risata cattiva che veniva a prenderle un pezzo della sua vita da signora sposata, dignitosa, buona, che andava a prendersi cura dei malati, sosteneva i bisogni della sua famiglia, aiutava sua madre.

Il bambino di Laura era minuscolo come un uccellino fragile, pochi centimetri fra le sue due mani; lei fece fatica a comprendere come mai suoi figlio non fosse un bebè grassottello ma un passerotto con gli occhi semichiusi da salvare e proteggere.


Si rimboccò le maniche e insieme al marito tirò su quella gioia che finalmente andava a riempire la camera dell'appartamento arredata da anni in vista del suo arrivo.
La sua famiglia era completa.
Gli anni andavano, la pellicola del film girava lentamente e il fiume scorreva dopo qualche intoppo con un ritmo che a lei piaceva, Laura non guardava mai i ramoscelli portati via dalla corrente e non si specchiava nelle sue acque di notte, quando il fiume diventava misterioso e le acque scure e impenetrabili.

Quando Giorgio compì cinque anni, Laura scoprì di avere un nodulo al seno sinistro.

La donna di quarant'anni che aveva avuto paura persino dei cerotti, divenne di pietra per affrontare l'intervento chirurgico.

Qualcosa urlava dentro di lei. Di fronte a questo evento non riusciva a tapparsi le orecchie, a chiudere i sensi; nell'appartamento grazioso dove viveva con il marito e con il figlio una tubatura era scoppiata; le sembrava che il liquame scuro sporcasse le piastrelle candide del corridoio, e che nulla sarebbe stato come prima.

Era convinta che suo figlio, ormai, possedesse una madre che si era rotta come un vaso, merce avariata.
A che scopo adesso alzarsi la mattina, quando sapeva che presto o tardi sarebbe morta, che la vita le aveva promesso false speranze d'eternità, che era a rischio il caffè caldo la mattina e i biscotti che piacciono a Giorgio, il bacio a suo marito prima che chiudesse la porta portando la cartella di cuoio?

Suo marito in quel periodo perse il lavoro.
Adesso l' appartamento per Laura era una barcaccia di legno e il fiume un'autostrada severa che stava portando lei e quelli che amava verso un oceano spaventoso, dove l'indistinto rapisce le pietre preziose che la vita ti fa assaporare per un po' di tempo solo per procurarti dolore quando le devi lasciare.

Laura ascoltava le parole della sorella che l'ammoniva di guardare la parte luminosa dell'esistenza; che alla fine, solo lei con la sua grinta, era riuscita a mettere al mondo un bambino; che sua madre, lei e l'altra sorella le erano affezionate. Che suo marito aveva amato soltanto lei nella sua vita, e le era sempre vicino.

Che il tumore al seno era stato sconfitto ed aveva avuto la fortuna di scoprirlo quando era una pietruzza di pochi millimetri.
Niente da fare. Laura non vedeva che l'oceano che la minacciava, percepiva solo lei il rumore delle onde che si spezzavano sulle rocce e le assi marce di naufragi che si erano verificati al di fuori del suo controllo, da secoli.

La sorella le suggeriva di guardare la donna maligna dritto negli occhi, di riconoscere la sua presenza e farle riprendere il posto che ha di diritto nel piano dell'esistenza, le raccomandava di respirare a fondo per la prima volta dal primo mattino in cui era nata, di stare nella radiosità del giorno per sempre, lasciandosi andare nel flusso dei pesci di fiume, dei sassi rotondi e dell'acqua.

Laura ce l'avrebbe fatta?
Ora vive sospesa, non puoi trovarla da nessuna parte, la vista del marito e del figlio le procurano solo dolore e la giornata che inizia non le racconta nessuna storia.

Il rumore dell'oceano invisibile che sbatte dietro le finestre dell'appartamento familiare non le permette di essere contenta di niente.

Con uno sforzo sovrumano si veste ogni giorno, si pettina e si trucca il viso, accenna un sorriso forzato, va a fare la spesa; ma per chi sa guardare con più attenzione lei non è più veramente viva; rimane sospesa in un posto lontano da noi ad ascoltare i cattivi consigli della sua mente.

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