Cara ricercatrice,
Il Buongiorno di ieri de La Stampa non recava la firma di Gramellini, ma la tua, quella di una giovane donna di 32 anni, delusa ed amareggiata dallo scarso interesse per il latino del tuo (ex) ripetente quattordicenne. Al primo rimprovero il ragazzo, viola di rabbia, abbandona la lezione sbattendo la porta. La madre, invece di scusarsi, giustifica il figlio e critica te, rea di aver turbato il suo bambino chiedendogli una maggiore umiltà nello studio. I commenti sul web si sono scatenati, c’era chi difendeva il ruolo del genitore, chi quello dei giovani disoccupati, qualcuno osservava che gli anni migliori di vita dei ragazzi sono rubati dalle lingue morte.
Prima di risponderti, cara ricercatrice, mi permetto di spezzare una lancia a favore delle cosiddette lingue “morte”. Forse sarò di parte, forse perché anche io coltivo lo stupido sogno di diventare un professore con la (assurda?) pretesa di appassionare gli studenti. Il greco, così come il latino, non è costituito solo dalla “noiosa” grammatica. La sintassi, i verbi, le declinazioni, sono i mattoni con cui i grandi autori hanno costruito i capolavori di quella letteratura che è madre della nostra cultura e del nostro pensiero. I ragazzi studiano il mondo classico per interpretare la realtà di oggi, per crearsi una coscienza critica, per imparare a decidere da soli.
Ma torniamo a noi, cara ricercatrice. Non mollare. Lo so, sei delusa e arrabbiata, ma non cedere. Un professore una volta ha detto che con i grandi la partita è persa totalmente, mentre con i ragazzi soltanto al 90%. Il cambiamento parte da loro, il futuro parte da loro. Non arrenderti. È l’essenza di quello che sei, di quello che fai: sei una (ri)cercatrice, non stancarti ma di inseguire e di cercare i ragazzi. Alcune volte sbatterai contro un muro di indifferenza e ti sembrerà di parlare al vento. Ma pensa anche a quando, magari, uno dei tanti semi che hai gettato metterà le radici e germoglierà. Ecco, quello ti ripagherà di tutti gli sforzi, di tutti i bocconi amari ingoiati a forza. Chissà, forse il tuo lavoro rimarrà precario, perché la scuola è un mondo precario. Un mondo precario che cerca di far camminare i ragazzi in equilibrio, pensa che contraddizione. Più che professori e ricercatori, dovrebbero chiamarvi equilibristi. E tu, cara (ri)cercatrice, hai un ruolo essenziale: il filo della cultura è traballante, ma è l’unico capace di farci arrivare al cuore delle cose.
In bocca al lupo per tutto,
un aspirante equilibrista
Retropensiero di Alessandro Antonioli.
Foto Luciano Caputo, licenza CC BY-NC, modificata