Abbiamo aderito con grande interesse a un’iniziativa che ci sembra importante e meritoria, perché si propone di colmare gli storici vuoti che fanno di Milano (la capitale dell’editoria, nell’immaginario collettivo) una delle città meno attente ai piccoli editori indipendenti e alle forme di produzione culturale dal basso. Conoscevamo il festival, nato nel 2012, perché si è ormai conquistato un suo spazio e una sua credibilità, almeno fra noi addetti ai lavori e presso una fetta di pubblico attenta e coinvolta. Sapevamo già, proprio guardando all’esperienza del Festival Letteratura, che le iniziative di questo tipo hanno saputo da un lato attrarre e trovare apprezzamento attraverso canali e ambiti “social” (che non significa soltanto sul web, dove pure il seguito è molto ampio, ma anche nel passaparola), ma hanno per contro trovato modesto e faticoso riscontro presso le istituzioni e i media tradizionali.
Siamo però davvero ammirati, dopo aver vissuto queste giornate del Salone, per la stupefacente capacità esibita nell’arte di ignorare, svicolare e tacere, proprio da chi per ruolo dovrebbe essere il primo interessato a dare visibilità a una manifestazione del genere.
Siamo sinceramente colpiti dalla destrezza con cui le istituzioni milanesi, di fronte a un grande evento culturale realizzato a costo zero (per loro) e attraverso l’opera di volontari, hanno mirabilmente evitato di offrire forme di visibilità, di sostegno, persino di semplice presenza e testimonianza alla manifestazione, evitando con accuratezza di facilitare alla cittadinanza l’accesso a uno spazio di incontro culturale che è unico nel suo genere, per questa città. Impresa non semplice, perché sarebbe bastato davvero poco (una dichiarazione, un comunicato stampa, un po’ di affissioni, qualche agevolazione) per cadere in tentazione rischiando di agevolare l’accesso del pubblico.
Anche meglio, però, hanno saputo fare i grandi organi di informazione, a partire dai quotidiani cittadini (compresi quelli nazionali, ma con ampia sezione milanese e ottimi spazi per le pagine “culturali” locali). Non era davvero facile riuscire a venire meno persino al minimo sindacale di rispetto per il proprio lavoro, dando quantomeno notizia dell’esistenza del Salone: eppure ci sono riusciti. Una bella impresa, di fronte alla quale passano in secondo piano le poche righe frammentarie, confuse e spesso condite di errori dedicate ad alcuni eventi del Festival, o l’accurata assenza di giornalisti tra gli spazi espositivi.
Davvero, non possiamo che essere ammirati e apprezzare l’impegno profuso per mettere in atto una così meticolosa campagna di non-informazione della cittadinanza e dei lettori. Un apprezzamento tanto più grande se pensiamo che il tutto non può, con evidenza, essere frutto di banale distrazione o di sciatta approssimazione nello svolgere il proprio mestiere, quanto invece di consapevole scelta da perseguire con estrema cura.
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