Lettera di Marco Rizzo sulla crisi ai direttori dei giornali.

Da Astonvilla
Lettera di Marco Rizzo sulla crisi.
Questo è il testo originale della lettera sulla crisi che Marco Rizzo, segretario nazionale di CSP, ha inviato ai direttori dei giornali italiani. Il Messaggero di sabato 13 agosto a pag. 2 ed Il Giornale di lunedi 15 agosto a pag. 7 ne hanno pubblicato alcuni stralci.
Gentile Direttore,
pur non avendo rappresentanza parlamentare, noi comunisti seguiamo con grande attenzione le vicende economiche del Paese e la stessa discussione che avviene nelle sedi istituzionali, anche se, per la qualità generale dei “nominati”, non ne sentiamo particolarmente la lontananza. Ci preoccupa l´ulteriore carico di sacrifici che saranno richiesti ai lavoratori italiani ed anche alle classi medie che stanno subendo un processo di neo-proletarizzazione. Ma ci preoccupa in particolar modo che la politica nel suo complesso non appaia assolutamente in grado di risolvere questa crisi.
Chi governa non ha alcun potere di risolvere la crisi e ogni suo tentativo si trasforma solo nel prolungare la crisi stessa. Crediamo che Berlusconi rappresenti un male per il Paese, ma non siamo tra quelli che ritengono che un semplice cambio di governo possa risolvere il problema. La soluzione non è certo un governo tecnico, un super primo ministro, od anche elezioni anticipate ed un cambio di maggioranza di governo.
Ma di certo  la soluzione non sono le misure “lacrime e sangue” richieste dall´Europa dei banchieri, effimero e lontano luogo della reale sovranità politico-economica del nostro Paese, commissariato oggi più di ieri. Anzi più prenderemo le distanze da questa Europa e dai suoi cantori nostrani e meglio sarà. Infatti l’Unione Europea è una delle cause dei nostri problemi. Siamo oggi l’unica forza di sinistra e comunista in Italia (ma in Grecia i comunisti del KKE lo dicono da tempo) che ha il coraggio di dire questa semplice cosa: uscire dall’Unione Europea e non sottostare più ai suoi ricatti non pagando più il cosiddetto debito pubblico è uno dei punti per la soluzione del problema.
Il trattato di Maastricht del 1992 è una delle nostre prigioni. Un accordo non votato da nessun popolo che è stato costruito solo sulla base del denaro, con le regole del “mercato” assurte a divinità infallibile. Quante volte ci siamo sentiti ripetere: “senza l’Euro, chissà a quale disastro saremmo andati incontro…” eppure proprio con l’arrivo della moneta unica le conseguenze sono parsi evidenti ai più: ogni genere di consumo giornaliero che costava mille lire raddoppiò ad un euro ed i portafogli, specie quelli delle classi meno abbienti, si ritrovarono dimezzati. Oggi, in base a questi assurdi accordi, la Banca Centrale Europea, (che è praticamente in mano agli stessi privati che siedono – o sono collegati a coloro che siedono – nei consigli di amministrazione delle banche centrali dei singoli stati – la Banca “d’Italia” è in mano per l’85% a banchieri privati), ci impone direttamente le misure di sacrifici che sono dovute all’aumento del debito “pubblico” che lei stessa innalza, in una “partita di giro”, con annesso conflitto d’interessi, tramite le agenzie di rating (gli stessi malandrini che hanno incentivato la crisi finanziaria classificando come titoli a tripla A i mutui subprime spazzatura perché pagati in veste di consulenti dalla stessa finanza che aveva inventato quelle obbligazioni). E’ forse a questa “banda” che vogliamo affidare il nostro Paese ? Non ci bastano le imposizioni su ogni aspetto della nostra vita quotidiana, per non parlare della guerra alla Libia, della Tav e delle “grandi Opere”? Eppure a sentire parlare la politica tutta, di destra e di sinistra (ancor più corrotta perché debole e ancor più debole perché corrotta), l’informazione ed –ahimè- la quasi totalità di una confusa opinione pubblica, non ci sono altre strade che accettare i dicktat europei. Piero Ichino, uno dei sacerdoti minori del culto europeo, ci spiega, ad esempio, che sia l’uscente presidente della BCE,  Trichet, sia l’entrante Draghi, indicano una ulteriore e profonda riforma del nostro diritto del lavoro come condizione necessaria per l’intervento della stessa BCE. Le nostre relazioni industriali passeranno così dalla precarietà del lavoro ormai per tutti, ad un inizio di vera e propria schiavitù!!
Insomma chi cerca soluzioni in seno all’Europa si illude, non fa altro che appigliarsi ad una cieca ricerca di stabilità, mentre questa crisi travolgerà tutto e ingrasserà, con cifre difficilmente immaginabili, solo i pochi gruppi dei grandi banchieri, che però rischiano di vedere saltare, forse prima che poi, il malefico giocattolo che hanno creato, in quanto i dati della crisi appaiono sempre più strutturali, una vera e propria crisi di sistema.
Se è giusto quindi attaccare senza esitazione l’Unione Europea come obbiettivo immediato in quanto corresponsabile della crisi , dobbiamo anche pensare a cosa proporre strategicamente.
Quando nel 2008 il fallimento della “Lehman Brothers” segnò lo scoppio della crisi, la maggior parte degli economisti, seguiti a ruota dai politici, parlarono di “crisi finanziaria”, come di qualcosa di distante dall´economia reale. La finanza era la responsabile, un corpo malato in un corpo sano che rischiava di trascinare con sé tutta l´economia. Dire che la colpa è della finanza non spiega perché lo sviluppo della finanza sia giunto ad un livello tanto imponente rispetto alla cosiddetta “economia reale”. Andando ad analizzare il processo che determina questo risultato si scoprirebbe che è proprio nell´economia reale, e più precisamente alle fondamenta stesse di questo sistema che si annida il problema.
L´origine di questa crisi sta nella distanza sempre maggiore tra la ricerca del profitto ed il soddisfacimento dei bisogni dell´uomo In questo sistema si produce ciò che conviene produrre per trarre maggior profitto, non ciò di cui ci sarebbe bisogno. A conferma della veridicità di questo processo sta l´espansione senza limiti del sistema pubblicitario – ossia del meccanismo di induzione del bisogno – avvenuto negli ultimi cinquant´anni. Alla lunga questo fenomeno genera un forte divario, che porta a quella che erroneamente è definita solo come “sovrapproduzione”. Erroneamente perché non si produce più di quanto sarebbe necessario – come i fautori della cosiddetta decrescita sostengono – ma in modo diverso rispetto al necessario. La necessità di superare questa empasse spinge alla ricerca di luoghi alternativi per conseguire profitto e spiega l´esplosione della finanza. Ma come si può agilmente comprendere allora, la finanza non è che un elemento derivato, che trae la sua origine proprio dal centro del problema. Fino a quando non si rimetterà in discussione l´idea del profitto come obiettivo ultimo non si farà altro che intervenire su elementi secondari e derivati. Ogni politica destinata a mettere un freno alla crisi si risolverà in un nulla e nella necessità di ulteriori misure, sempre più aspre, ma sempre più inutili.
È’ necessario riportare al centro della discussione una riflessione sul “cosa produrre” e sul “come produrre” nonché sulla necessità di una eguale distribuzione a livello globale delle risorse, tenendo conto che le risorse ambientali del pianeta sono definite. Proprio questo è il tema che manca nella discussione in questo momento. L´attualità e la necessità di questa riflessione sono sotto gli occhi di tutti. Mentre il calo delle borse spinge gli investimenti verso i beni di prima necessità, come il grano e i cereali, alterandone i prezzi, milioni di persone sentiranno la fame sulla propria pelle, e andranno ad ingrossare le file di disperati pronte a rischiare la vita salendo su un barcone per la necessità di mangiare!
I lavoratori italiani stanno pagando la crisi al pari dei lavoratori greci, spagnoli, portoghesi, degli altri paesi del mondo e così via. Una crisi globale, una crisi di sistema, la cui risposta può essere solo globale e anch´essa di sistema, nel senso di mettere in discussione quello che fino a ieri sembrava indiscutibile. Solo cambiando radicalmente il nostro modello di sviluppo, solo sostituendo al capitalismo e alla logica del profitto un diverso modo di produzione e un sistema di re-distribuzione delle risorse basato sui reali bisogni (noi lo chiamiamo Socialismo) potremmo salvarci dal baratro. Tutto il resto ha il valore delle cure palliative, può tentare di alleviare le sofferenze del malato e tenerlo in vita un periodo limitato di tempo in più, ma non può salvarlo dal suo destino.
Qui da noi i  risultati di queste cure le abbiamo viste da almeno trent´anni ed il popolo italiano ne sta comprendendo a pieno anche gli effetti. La via esiste, basta cominciare a spiegarla e a farla vedere.
Marco Rizzo, segretario nazionale Comunisti Sinistra Popolare

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