Letteratura e paesaggio. Il nulla e il paesaggio nelle nostre storie

Creato il 12 gennaio 2012 da Cristina @cbalmativola
“Dalle finestre di questa casa si vede il nulla. Soprattutto d’inverno: le montagne scompaiono, il cielo e la pianura diventano un tutto indistinto…”: i lettori di Sebastiano Vassalli hanno riconosciuto il celebre incipit della Chimera, long seller amato anche per come il suo autore racconta il paesaggio. Questo protagonista vivo e corale torna con fedeltà nelle opere dello scrittore fino al recente romanzo Le due chiese: senza sentimentalismi estetici o localistici, ma come paradigma di una complessa trasformazione della società e dell’uomo.
Dal Seicento rurale e ingiusto della giovane Antonia, accusata di stregoneria, alla società automatizzata di oggi, lo sguardo dello scrittore mette a fuoco i suoi personaggi entro un palcoscenico di pianura, che appare un non-luogo, perché “le vicende umane, grandi e piccole, sembrano essere scivolate senza lasciare una traccia durevole di parole”. A darci un senso restano le storie, perché ci orientano nella città e nel paesaggio ricercando e ricomponendo l’immagine interiore di una patria che è innanzi tutto linguaggio, sempre al centro del discorso dello scrittore. Secondo Vassalli, che quest’anno festeggia settant’anni, “bisogna saper raccontare tutto: anche un albero, una casa, e quindi un paesaggio… un paesaggio dotato di vita e direi quasi di volontà”. In questo testo inedito, che dalle scenografiche coste greche di Omero ci porta alla devastata Brianza sudamericana di Gadda, tratto da una lectio magistralis pronunciata al teatro Bibiena di Mantova il 25 novembre 2010 (inaugurando il dottorato del Politecnico lombardo in Progetti e tecnologie per la valorizzazione dei beni culturali), Vassalli ci ricorda che l’uomo non può considerarsi al centro di tutto, perché “un orizzonte esclusivamente umano non sarebbe sopportabile”. Perciò il nostro “viaggiatore nel tempo”, come si definisce nell’intervista-autobiografia Un nulla pieno di storie, continua la sua ricerca di storie che sappiano sventare quel nulla presente nell’apertura della Chimera: “Per cercare le chiavi del presente, e per capirlo, bisogna uscire dal rumore: andare in fondo alla notte, o in fondo al nulla…” (Roberto Cicala)
L’idea di paesaggio nasce tardi, nella cultura occidentale e, credo, in tutte le culture umane. Per l’uomo delle origini, ciò che noi oggi chiamiamo paesaggio è un insieme di oggetti, fermi o in movimento, ognuno dei quali rappresenta un potenziale pericolo in cui possono irrompere o inserirsi elementi ostili. È un insieme di forze naturali mosse da una volontà soprannaturale, che tende a dominare l’uomo e a cui l’uomo, nei limiti del possibile, cerca di adattarsi. La parola greca fúsis: natura, indica un pullulare di presenze vive, ognuna delle quali ha un nome e una caratteristica divina. È l’esatto contrario di quel mondo statico e apparentemente privo di difese che è diventato, in buona parte, il paesaggio di oggi. La natura delle origini è un luogo magico, in cui bisogna entrare in punta di piedi anche quando nulla, apparentemente, ci minaccia: stando bene attenti a non turbarne i più remoti equilibri e chiamando per nome ad una ad una, per rendercele amiche, le divinità che lo compongono.
(continua qui)

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