Lettere dal Laos 18: La questua.

Creato il 06 marzo 2012 da Enricobo2

L'alba a Luang Prabang.


 

Fedeli in attesa.

Le sei di mattina. A Luang Prabang la notte non è ancora finita. Le strade sono ancora buie e silenziose e soltanto qualche chiarore rosato ad est fa intendere che l'alba è ormai vicina. Qualche gallo ha cantato, ma camminando lungo il muricciolo bianco del Wat Xieng Thong non indovini ancora gli arancioni dei fiori e le sfumature rosse delle bouganvillee. Le insegne di legno antico dei negozi ancora chiusi scandiscono spazi di riposo pacifico. La città dorme ancora, assopita in un'ombra di velluto scuro. Poi d'improvviso, anche i piccoli rumori nella notte richiamano attenzione vigile, avverti come un rintocco di campana o un colpo di gong attutito e qualcosa si muove silenzioso all'interno del tempio. Eccomi seduto su un basso muro di pietra di fronte alla lunga via che fronteggia l'ingresso nord. Non li senti arrivare ma, mentre la luce comincia a farsi spazio, si avverte come un alito di vento, un frusciare di vesti, un movimenti di piedi nudi che attraversano il cortile. Nello stesso momento in ogni punto della città, da ognuno dei cento templi, grandi e piccoli, una fila ordinata di tuniche arancio esce con passo uguale, camminando al centro della strada lungo una direttrice consueta e sempre uguale, ogni giorno, ogni mattina. 

I monaci del Wat Xieng Thong.

Sono centinaia, silenziosi e ordinati, lo sguardo sereno in avanti, procedono lungo un cammino dettato dall'uso, secondo un'abitudine identica da secoli. Allo stesso tempo, dalle case e dalle piccole vie laterali sono uscite un gran numero di persone, in maggioranza donne, dai lunghi sarong colorati, che indovini con le loro vesti migliori ed una lunga sciarpa ricamata sulla spalla. Hanno un piccolo seggiolino di vimini e si siedono ordinatamente lungo il cammino ipotetico che i  monaci stanno cominciando a percorrere. In grembo tengono un paniere ricolmo di sticky rice, un pastone di riso a vapore colloso e raggrumato riparato da un coperchio di bambù. La fila dei monaci si avvicina con passo uguale in silenzio e quando sfila lungo i fedeli seduti, ognuno di loro, senza guardare, toglie il coperchio al grande vaso di ottone che pende dalla spalla destra. Ogni donna ha fatto con la mano destra una piccola pallina di riso e la depone con cura nel vaso di ogni monaco che passa, con un ritmo antico, con un gesto scandito e sempre uguale, di ogni fedele per ogni monaco. I monaci non chiedono, i fedeli danno senza attendere riconoscimento del loro gesto, di tanto in tanto il monaco che apre la fila, il più anziano, fa un leggero cenno di benedizione, accettato con deferenza ma senza spezzare il ritmo, senza interrompere la cadenza dei gesti, del rituale. 

La fila dei fedeli.

Le file ordinate, provenendo da templi a distanze diverse si susseguono senza soste, né crasi apparenti e la processione prosegue con ordine come se i tempi fossero accuratamente preparati da una regia magistrale. Tutto è avvolto in un silenzio impressionante che ti fa sentire l'appoggiarsi delle piante dei piedi nudi sull'asfalto ancora umido della notte. L'alba è ormai conclamata e toni rosati colorano l'aria. Verso le sette la processione ha quasi completato il giro e sta ritornando nella lunga via parallela a quella di partenza. I fedeli hanno aspettato con pazienza e continuano a gettare le palline di riso nei vasi che a poco a poco si vanno riempiendo e che i monaci aggiustano con la mano intanto che questi si colmano. Tutto procede con un senso mistico di rassegnata spiritualità partecipata. Gli attori della stessa recita hanno parti antitetiche ma indispensabili l'una all'altra. 

Monaci

Chi riceve l'offerta dovuta svolge comunque un servizio offrendo la propria disponibilità a ricevere e chi offre compie un dovere di cui riverbera la ricompensa morale. Tutto si svolge in una atmosfera di compreso fervore. I turisti, rari per la verità, messi sull'avviso da opportuni cartelli, si tengono ad una distanza di rispetto e non infastidiscono più di tanto. Qualcuno addirittura partecipa all'offerta con regolare sciarpa di ordinanza acquistata al night market la sera prima e con cestini di riso che le loro guest houses hanno opportunamente preparato a richiesta.L'ultimo gruppo di monaci sfila ordinato, raccoglie le ultime offerte, mentre al loro passare, i fedeli si alzano lentamente e con il seggiolino sotto il braccio e la sporta del riso vuota, la quantità è sempre calcolata perfettamente in modo da finire al passaggio degli ultimi monaci, tornano alle loro case sereni per il dovere compiuto.

La questua.

 Il sole si ormai alzato nel cielo. I monaci rientrano compìti, stivando col palmo della mano il riso nel contenitore ormai pieno; solo ai più giovani scappa di tanto in tanto un ridacchiamento compulsivo, non abituati ancora ai loro compiti. Il bambino che ieri, avevamo visto condotto al tempio dalla famiglia, è l'ultimo della fila e non tiene il passo, ridacchia e accenna ad una corsa per riprendere la fila, i compagni più grandi lo guardano senza severità, avrà tempo per abituarsi al suo ruolo. Ora sono tutti rientrati, le strade cominciano a vivere e i negozi aprono; dai bar escono i fumi delle pentole che preparano le zuppe delle colazioni. Dall'interno del tempio, un altoparlante comincia a scandire una preghiera. La voce bassa e roca di un vecchio monaco comincia la scansione di un mantra senza fine. Oggi inizia la festa annuale del Wat Xieng Thong. Per tre giorni ininterrottamente i monaci più anziani, alternandosi ogni ora continueranno a cantare le lodi del Buddha. Senza sosta per tre giorni e tre notti. Una volta all'anno capita a tutti i templi. Intanto se la tua guest house sta proprio lì davanti, dimenticati di dormire. Per piacere non venitevi più a lamentare del muezzin che vi ha svegliato alle 5 di mattina cantando Allahu akhbar per tre minuti.

Il rientro dopo la questua.


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