Letture, da Kierkegaard a Scalfari

Creato il 21 settembre 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali

di Giuseppe Leuzzi.

Augusto – Un aspetto che si sottace delle celebrazione è che, se fu l’“autore” della Storia Augusta, ne aveva motivo: era infatti soggetto al pregiudizio degli storici per così dire di professione, quali saranno Tacito e Svetonio, in quanto conculcatore della libertà repubblicana. Non pacificatore nella guerra civile, nel deterioramento della repubblica, ma affossatore della stessa.

Di lui, come di Tiberio e gli altri che li seguirono gli storici non parlavano che male, “per aver regnato”, dice Voltare nel “Trattato sulla tolleranza”, “su un popolo che doveva essere libero”. Voltaire ne tratta in una nota, ma andando diretto al nocciolo della storia, la verità della storia – nella traduzione di Togliatti: gli imperatori “gli storici godevano nel diffamarli, e si credeva a questi storici sulla parola, perché a quei tempi non vi erano memorie scritte, giornali dell’epoca, documenti. Gli storici, perciò, non citano nessuno e non si poteva contraddirli. Essi diffamavano chi volevano e decidevano a loro piacere del giudizio della posterità”. Con questo commento: “Veda il saggio lettore quanto si debba diffidare della veracità degli storici; qual credito si debba prestare a fatti pubblici riferiti da autori seri, nati in una nazione colta; e quali limiti si debbano porre alla credulità per degli aneddoti che questi autori riferiscono senza portare alcuna prova”.

Dio –Era unico anche per il paganesimo. Si editano e rieditano studi per avocare la pluralità degli dei al paganesimo, a fronte dell’intolleranza passata (cristiana) e presente (mussulmana) dei fedeli del Dio unico. Ma Dio è uno anche nel paganesimo. Molti corrispondenti di sant’Agostino lo riaffermano: Dio “è unico, incomprensibile, ineffabile” per Longiniano, per Massimo di Madaura “non vi sono che degli stolti che possano non riconoscere un Dio sovrano”.

C’è in Virgilio: “I, 229. C’è in Orazio “Odi”, I, 12: “Niente si genera che ne sia maggiore\ e niente esiste di simile o vicino”. Era già negli “Inni orfici” – e anche in quelli omerici. E Platone nel “Simposio”: “Non vi è che un Dio, che bisogna adorare, amare, e adoperarsi per somigliargli nella santità e la giustizia”

È il Deus oprtimus maximus  dei pontefici romani. Lattanzio lo ricorda, al cap. II delle “Istituzioni”: “I romani subordinano tutti gli dei al Dio supremo”.  Tertulliano lo testimonia, al cap. XXIVV dell’“Apologetico”.O Epitteto. O Marco Aurelio.

Identità – La memoria è più creazione che conoscenza? Talese, il creatore del giornalismo giornalismo narrativo, è soprattutto testimone e memorialista della nazione o cultura italiana d’America. Musicale, mafiosa, ma soprattutto familiare e storica. Di un mondo, una cultura e una lingua di cui ha però conoscenza limitata.

In “Ai figli dei figli” costruisce una solida identità dell’emigrante non di necessità. Dall’Italia del fascismo e della guerra, dalla Calabria, da Maida, il paese di nascita del padre, senza sapere l’italiano. La storia locale del paese di origine ha potuto leggere e gestire nelle traduzioni di Kristin Jarratt. Di cui si è avvalso anche come interprete negli incontri con i parenti e i compaesani, a Maida, a Parigi e altrove. Kristin Jarratt Talese descrive, in una serie di incontri col settimanale “New York” nell’aprile del 2009, come “una bionda venticinquenne di St. Louis che viveva a Roma”. Il settimanale sa che Talese, in crisi con la moglie, con la quale poi si riconcilierà, ha avuto una relazione con la bionda interprete. Talese non lo nega, anzi dice Kristin Jarratt è stata anche nella casa di Ocean’s City per un lungo periodo, quando intervistava i suoi parenti americani. Era dopo il l982, quando Talese aveva pubblicato “La donna d’altri”, sui costumi sessuali molto liberi nella famiglia americana, con un successo di scandalo che lo travolse.

Talese è scrittore di talento, autore di due libri che hanno fatto tendenza nella letteratura Usa di fine Novecento: “La donna d’altri”, 1981, malgrado lo scandalo, e “Ai figli dei figli” (Unto the sons) 1992. Le  fondamenta di due generi, la disinibizione sessuale, e lo storione familiare in ambito, e sui toni, della piccola borghesia. Dell’emigrazione nella fattispecie, non per bisogno ma per volontà di essere. “Delle ambizioni”, come fa dire in esergo a Theodore Zeldin, “di chi non è mai diventato molto ricco, non ha fondato una dinastia o un’azienda di vita lunga, e ha vissuto al livello medio-basso del mondo degli affari”. Nel 1971 aveva concorso al successo del “Padrino”, la storia di Joe Bonanno, “Onora il padre” – il romanzo di Puzo era uscito nel 1969, il film si sarà un paio d’anni dopo. Senza sapere l’italiano.

Kierkegaard – È scrittore incerto – “aperto” – per essersi rifiutato alla paternità, alla (pro)creazione? Kierkegaard si sentì due volte maledetto, alla maledizione del padre, che quando lui era bambino una volta bestemmiò, aggiungendosi un giorno la possibilità d’essere divenuto per caso padre. Non si ricordava che alla fidanzata  Regina s’era negato con la scusa di fortificarsi, Frater Taciturnus e Simeone Stilita, e fortificarne la virtù nel desiderio? Forse il filosofo odiava i bambini. Uno che la madre è come se non l’avesse avuta, e il padre sarebbe stato meglio: in colpa per aver bestemmiato, in-colpava i suoi figli. Forse i figli dovrebbero ripensarsi e non compiangersi, non si fa mai abbastanza contro le cattive abitudini. L’eccezione pensa il generale con eccezionale passione, direbbe lo stesso Kierkegaard.

Ma bisogna prendere il filosofo che si voleva poeta con le molle: camminava saltellando, non in senso fisico. Uno che si voleva credente, Spia dell’Idea, e dava di sé nomi falsi.


Scalfari – O il doppio incoerente – vero doppio? Come essere e modo d’essere – essere e voler essere. Così nella stupefacente intervista con Simonetta Fiori su “Repubblica” giovedì 11: “Io sono affascinato da questo gioco della duplicità ma anche triplicità e quadruplicità del se stesso”. Vera, perché quello è il vero Scalfari, un ragazzo strafottente. Non immaginarsi sdoppiati, come Pessoa coi suoi eteronimi, sue creature, ma esserlo. Sempre preciso sui fatti e gli eventi – intelligente e corretto, due qualità che non sono usuali nella sua professione – o presente a se stesso, non fantasioso. E insieme mimetico.

Sperimentalismo – La scrittura sperimentale, riletta fuori “linea di combattimento”, è inerte – Antonio Porta, Balestrini Lo sperimentale è una vittima sacrificale: s’immola al linguaggio. Chissà se c’è un paradiso della lingua. O delle avanguardie.

Le poetiche invece – le avanguardie – possono essere proficue. Sempre, comunque, lasciano tracce.

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