Buona domenica, lettori e lettrici di Pensieri d’Inchiostro! Come ogni mese ecco qua il resoconto dei libri letti dalla Topolina… con tanto di colonna sonora, sempre se gradite!
Oserei dire che al giorno d’oggi è quasi impossibile riuscire a scrivere un libro fantasy che ricalchi i canoni classici, ma che al tempo stesso possa vantare una trama genuina al 100%: gli stereotipi del genere, ahimè, sono sempre in agguato dietro l’angolo, e in ogni caso c’è sempre il pericolo che la storia tenda a sapere di già sentito. Proprio questo, purtroppo, è il caso de Il mondo di Yesod.
Per quanto riguarda la trama sono rimasta alquanto delusa. Ci sono alcune idee che mi sono piaciute, vi dirò, ma si contano sulle dita di una mano. Parlando di stile, invece, trovo che nel complesso risulti efficace: a parte rari passi, non l’ho mai trovato noioso, e in generale scorre e si lascia leggere con molta facilità. Tuttavia anche qui ho riscontrato degli aspetti che non andavano, in particolare riguardo alle descrizioni dei personaggi.
È chiaro che si tratta di un titolo dal carattere perlopiù introduttivo, ed è per questo che confido nei prossimi titoli. Per il momento, però, anche se sono certa che coi prossimi libri la faccenda migliorerà, non me la sento di assegnargli una valutazione più alta di così. Potrebbe andare senz’altro benissimo per un pubblico di lettori ai loro primi incontri con la letteratura fantasy, considerata anche la semplicità dello stile, e di sicuro non si tratta di un brutto libro, ma sono del parere che gli manchi ancora qualcosa per essere apprezzato in toto.
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A essere sincera, in un primo momento la trama non mi ha colpita più di tanto: certo, era evidente che possedeva un ottimo potenziale (che poi è stato confermato), ma in quanto a originalità di contenuti mi aveva lasciato un po’ delusa. Per fortuna, però, Stefano Baldoni è riuscito a strutturare la sua storia in un modo assai coinvolgente: non l’avrà reso un capolavoro, magari, ma a mio parere il risultato è un libro ugualmente godibile.
Un aspetto che è d’obbligo all’interno di un thriller è di sicuro la suspense, la trepidazione che non ti fa staccare gli occhi dalle pagine, il brivido lungo la schiena che non ti lascia nemmeno il tempo per respirare.
Anche lo stile rende giustizia alla riuscita della trama: per tutta la durata della vicenda rimane incalzante e davvero avvincente, riesce a suscitare ansia e partecipazione fin dalla prima pagina e la conserva intatta sino alla fine.
Insomma, ve lo consiglio: trovo che purtroppo presenti alcune carenze su cui non è possibile chiudere un occhio; ciononostante si tratta sicuramente di un esordio da non lasciarsi sfuggire. Faccio, dunque, i complimenti a Stefano Baldoni: gli manca ancora qualcosa, ma ritengo sia già su un’ottima strada.
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Era da un bel po’ che avevo addocchiato questo romanzo, ma solo nei giorni scorsi ho avuto occasione di leggerlo. Ora che finalmente ci sono riuscita, posso dire che mi è piaciuto sotto certi aspetti, ma che per altri mi ha alquanto delusa.
Il pregio principale è sicuramente l’ambientazione. Che sia steampunk oppure no (io lo avrei definito solo fantascientifico, ma poco importa), l’autore ha dipinto egregiamente la sua Londra vittoriana, ma non solo: è riuscito anche a calarmi del tutto nei bui vicoli che la caratterizzano, nonché a farmi percepire un brivido sempre nuovo a ogni pagina.
Molto interessante e ben strutturata anche la trama, davvero originale e coinvolgente, soprattutto grazie ai “salti” con cui il lettore passa dal mondo reale a quello fittizio.
Meno buoni i personaggi, a mio parere: eccezion fatta, forse, per Bible J, non ho incontrato nessuno a cui fosse impossibile non affezionarmi. Inoltre, verso la fine la narrazione e l’intreccio mi sono apparsi alquanto confusi: forse si è trattato di una mia impressione, ma a partire da un certo punto ho avuto qualche difficoltà a seguire la trama.
Ciò non toglie, comunque, che rimanga senza dubbio un buon libro. Magari non perfetto, ma assolutamente consigliato a coloro che desiderassero tuffarsi nel passato… un po’ come i visitatori di Pastworld!
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Ho iniziato questo romanzo più che convinta di avere tra le mani l’ennesimo fantatrash con una trama tra le più banali che esistano e per giunta scritto da cani. Però mi sbagliavo, o almeno in parte. Chiariamoci: per quanto mi riguarda, I discendenti della notte è tutto fuorché un buon libro… però non sarei onesta se non dicessi che alcuni pregi, nonostante tutto, li ho trovati.
A essere precisi, lo stile non è proprio granché: d eufoniche in ogni dove, virgole piazzate a caso, avverbi a volontà e una buona dose di raccontato, per non parlare degli errori veri e propri.
Invece a proposito della trama, strano ma vero, ho potuto tirare un respiro di sollievo. Nemmeno qui, per dirla tutta, le idee brillano di originalità, ma nonostante parecchie tematiche già sentite, è riuscita ad appassionarmi. Il merito credo vada in gran parte alla protagonista, anche qui cosa più unica che rara. Temevo, infatti, di ritrovarmi con l’ennesima Bella Swan, ovvero una che si sente bruttina e che sbava dietro allo gnokko di turno per centinaia di pagine… ma ciò non accade, udite udite: la situazione iniziale tra la ragazza e il vampiro, per dirla tutta, è molto somigliante, ma tanto per cominciare la protagonista non impiega neanche un capitolo per fare la sua scelta… e vi garantisco che ho fatto salti di gioia quando ho scoperto tutto ciò. Un record assoluto, non c’è che dire!
A questo punto chiedete se consigliarvelo oppure no? Be’, come ho scritto all’inizio, “I discendenti della notte” non è senz’altro un libro privo di difetti: anzi, ne ha di belli grossi, a mio giudizio. Tuttavia non posso nascondere di avervi trovato del buono, seppure sia stato necessario scavare un po’.
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Premetto che ho letto questo e gli altri due libri dell’autrice (Nelle terre del nord e La fine del conquistatore) a brevissima distanza l’uno dall’altro, ed essendo tutti e tre collegati da un filo comune, ossia il fatto che siano ambientati nell’Inghilterra durante la dominazione normanna, mi è venuto spontaneo anche scrivere un commento formalmente diviso in tre ma unico nella sostanza.
A essere sincera, Godric di Holdsword non mi è piaciuto tanto. A essere precisi, la ricostruzione del background è molto accurata e ricca di particolari, ma la trama costruita su di essa non mi ha coinvolta quasi per niente. Poi c’è lo stile, che mi ha convinta ancora meno: c’è davvero molto raccontato, il che implica che accade assai di rado che le parole si trasformino in immagini vivide e concrete. Insomma, mi pareva di leggere una storia in tinta unita, a cui mancava quel tocco di brillantezza che la rendesse accattivante e avventurosa. Peccato, perché l’ambientazione storica mi era sembrata davvero notevole.
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Devo dire che questo mi è piaciuto di più rispetto al romanzo precedente: lì avevo evidenziato uno stile poco efficace, che metteva insieme tante belle parole che non riuscivano tuttavia a suscitare immagini vive e a coinvolgere il lettore. Qui, invece, le cose sembrano andare meglio: l’ho trovato scritto con maggiore accuratezza, caratteristica che lo rende senza dubbio più scorrevole e accattivante.
L’ambientazione mi è sembrata notevole come sempre: senza dubbio si tratta del pregio più importante di tutto il romanzo.
Ancora una volta non è riuscito, purtroppo, a trasmettermi quella scintilla di elettricità in grado di tenermi ancorata alle pagine, ma credo che una mezza gocciolina in più non gliela si possa negare.
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Ed eccoci, dunque, al terzo libro della serie ambientata nell’Inghilterra dell’XI secolo e scritta da Elisabetta Vittone, nonché a quello che reputo il migliore tra i tre. Se già nel secondo lo stile era molto più coinvolgente rispetto al primo, in cui dominava il raccontato, trovo che ne “La fine del conquistatore” ci sia un ulteriore miglioramento: ad un’ambientazione accurata e ben descritta si aggiunge, finalmente, uno stile assai scorrevole che è riuscito a rendere la storia assai più appassionante che nei precedenti.
Non gli darei quattro goccioline piene, perché purtroppo nemmeno questa volta è riuscito a tenermi incollata alle pagine dall’inizio alla fine, ma ritengo che a questo punto l’autrice sia davvero sulla buona strada.
PS: una nota negativa comune a tutti e tre è la premessa/presentazione/commento dell’autrice piazzata a inizio libro. Personalmente la trovo fastidiosa, perché per quanto risulti neutrale – e in questo caso non lo è granché – ha sempre il tono di una auto-recensione, il che la rende antipatica a pelle, dato che non può che essere di parte. A essere sincera ho preso l’abitudine di saltarle a pié pari e di leggerle, nel caso, soltanto alla fine per non risultare condizionata durante la lettura… però se fossi negli editori eviterei.
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L’idea attorno a cui ruota la trama di “Zaira e la collana del tempo” è molto, molto semplice, ma questo non significa granché: molti dei più riusciti racconti per l’infanzia di sempre trattano di trame estremamente lineari, per dire, eppure rimangono libri deliziosi anche per chi ormai bambino non è più da anni.
Visto che anche Pietro Pignatelli, nella stessa presentazione del libro, concordava con me nel dire che scrivere per i bambini è forse la cosa più difficile in assoluto per uno scrittore – tanto che probabilmente persino le migliori penne hanno notevoli difficoltà – speravo di avere tra le mani un racconto che prestasse attenzione anche al più piccolo, microscopico, insignificante dettaglio, proprio sapendo che ai bambini non sfugge praticamente nulla. Come avrete intuito dalle sole due stelline, però, questo non è successo.
Dite che un giovane lettore non sia in grado di accorgersi degli errori di consecutio temporum? Oppure che ignori cosa sia il raccontato e che si accontenti delle descrizioni stile “lista della spesa”? O che rimanga indifferente di fronte a uno stile fin troppo superficiale? Io credo di no, e non mi stancherò mai di ripetere che, visto che ci si rivolge ai bambini, a maggior ragione non ci si può permettere di tirare via.
Non ne siete convinti? Leggere Roald Dahl o Michael Ende, e poi ne riparliamo.
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Recensione disponibile a breve.
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Come sempre ora tocca a voi, amici dei libri! Quali titoli avete letto e avete voglia di consigliarmi?