Ben ritrovati, miei fedeli lettori! Ormai la neve si è sciolta tutta, e almeno dalle mie parti ultimamente sembra già primavera inoltrata… Prima di inforcare la bicicletta e fare un giretto per godermi queste belle giornate, però, ecco a voi i libri, con relativi commenti, che mi hanno tenuto compagnia durante il mese di febbraio.
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Non mi capita spesso di imbattermi in un libro che dopo neanche una decina di pagine mi facesse completamente dimenticare di trovarmi davanti all’opera d’esordio di un autore alle prime armi.
Ma andiamo con ordine: come mai sono, per una volta, così entusiasta di un romanzo?
Quel che più mi ha colpito, ancor prima di scoprire i risvolti della trama e il carattere dei vari personaggi, è stata la capacità dello stile di tenermi letteralmente incollata alle pagine. Fin dalla primo capitolo la narrazione è serrata e lo stile brillante; anzi, trovo che abbia addirittura un che di ipnotico, di seducente, quasi di magico.
A formare una coppia assolutamente portentosa con esso, troviamo una trama che, nella sua semplicità, risulta originale e soprattutto congegnata nei minimi dettagli, in un modo che mi ha dato i brividi per tutta la durata della storia, e non solo: parecchie volte le scene mi apparivano davanti agli occhi così nitide e vive che mi sembrava di stare guardando un film, o addirittura di far parte di esse, come se anch’io fossi stata assoldata nella banda di malfattori che volevano rapire la piccola Alessia. Il tremito, la paura, la tensione che trasudano da ogni pagina erano, dunque, resi così bene da risultare autentici, quasi palpabili.
Solo una raccomandazione: se mai, nella vita, vi capitasse di incontrare persone come Alessia, il mio consiglio è quello di scappare a gambe levate il più lontano possibile. Non si sa mai cosa potrebbe capitare se ciò non accadesse, o peggio, se si continuasse a infastidirle come hanno fatto gli incauti protagonisti di questo romanzo!
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Come trovate scritto sul simpatico post-it “appuntato” in copertina, il libro di cui parleremo in questa recensione ci viene presentato come un «diario non datato e spensierato di una ragazza di oggi»… che però, a mio parere, non rappresenta quasi nulla di ciò che si trova effettivamente nel libro. Anzi, secondo me, è addirittura fuorviante: in primis, “spensierato” è davvero un aggettivo poco adatto, dato che l’intero racconto riporta i pensieri e le riflessioni dell’autrice; inoltre, di primo acchito sembra comunicare ironia, di cui però vi è traccia dentro al libro. Insomma, a lettura ultimata è tuttora un mistero come mai siano stati scelti un’immagine e soprattutto un titolo del genere, dato che l’idea evocata dalla copertina è del tutto diversa da quel che poi vi si trova effettivamente all’interno, ma non ho voglia di soffermarmi troppo sull’aspetto estetico del nostro «diario», perciò procediamo.
A parte questo, ci sono altri aspetti del testo che rendono la lettura non facile e soprattutto non rilassante, come invece cercava di comunicare la copertina, come una lunga serie dei cosiddetti “muri di testo” e, in generale, un’impaginazione piuttosto pesante.
Per fortuna non tutti i racconti sono così: del buono, dunque, c’è e in abbondanza, ma non è sempre facile riuscire a coglierlo.
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L’idea sulla quale è stato sviluppato l’intero libro mi ha lasciata soddisfatta: pur non essendo priva di alcuni degli elementi tipici del genere fantasy, mi è piaciuto come questi topoi apparentemente inflazionati sono stati descritti e inseriti nella storia. Sebbene in pratica ci ritroviamo con la classica ambientazione medievaleggiante con la sola aggiunta di oggetti moderni, come autobus gravitazionali e altre tecnologie del genere (anche se definirlo “tecno-fantasy” mi pare un poco eccessivo, dato che è molto fantasy ma ben poco tecno), si nota lo sforzo di costruire un background originale, e nel complesso è un tentativo che funziona: troviamo razze, animali e vegetazione che ricordano quelle classiche, ma mai viste prima; popoli le cui caratteristiche sono delineate nei particolari, e soprattutto ciascuno con la sua storia…
Se l’idea poteva essere la base per un libro di notevole valore, purtroppo questa trama e questi personaggi non sono stati supportati, a mio giudizio, da uno stile efficace e corretto dal punto di vista narrativo: troviamo, infatti, infodump, cambi di PoV e diversi difetti del genere.
La voglia di conoscere come continuerà la storia, non lo nascondo, è forte, perciò spero che l’autore decida di pubblicare i seguiti al più presto: lo stile necessita ancora di limature, ma nel complesso è tutt’altro che un esordio da buttare via. Quindi ve lo consiglio, se amate le ambientazioni fantasy che sanno equilibrare elementi classici e moderni, i personaggi ben caratterizzati e le storie avventurose.
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Un’idea oserei dire assolutamente geniale, che però, secondo il mio modesto parere, poteva essere resa almeno dieci volte meglio.
La storiella “tema”, tanto per cominciare, a mio giudizio non si prestava granché per un simile esercizio, ed è forse per questo che a lung’andare leggere tutti e 99 gli esercizi diventa noioso. Seppure molte le variazioni sul tema siano divertentissime (come quella delle parole composte, quella in finto inglese e nei vari linguaggi specifici…), alcune invece mi hanno abbastanza delusa. C’è da dire che il merito è in buona parte di Umberto Eco, ma a me non è sembrato quel capolavoro che dicono tutti. Un buon libro basato, ripeto, su una trovata geniale, ma che avrebbe potuto essere di gran lunga migliore.
PS. Promemoria per me: provare a inventare altre variazioni sul tema, questa volta basando il tutto su un racconto che si presta.
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Nonostante in genere non ami leggere autobiografie, questa volta è stato molto diverso, e perciò ringrazio di cuore Enzo Aita, che tramite il progetto mi ha dato la possibilità di leggere una serie di racconti di vita davvero niente male: per tutta la vita il nostro protagonista deve fare i conti con un’apparente incapacità di rimanere nello stesso luogo, di conservare un posto di lavoro e di coltivare le stesse passioni; il desiderio che quasi lo perseguita, dunque, è quello del cambiamento, della novità. Naturalmente questo provocherà nella sua vita una serie di alti e bassi che sembra destinata a non finire mai, a differenza, appunto, del suo ottimismo: anche quando le cose vanno male, non solo non si dispera, ma si mette subito alla ricerca di un nuovo percorso da imboccare, in modo da poter ricominciare subito con una nuova avventura.
A mio giudizio, però, il vero punto forte del libro non è l’autobiografia, bensì i racconti che la seguono e che occupano la seconda parte del volume: sebbene siano tutti reali, o comunque abbiano un fondo di verità, li ho trovati talmente ben descritti da sembrare parte di un romanzo – e questo è un complimento, anche se di solito vengono considerati migliori quei romanzi che sono talmente realistici da sembrare veri. Ancora meglio, sanno trasmettere il sapore di una città, una voglia contagiosa di libertà e in modo particolare, come del resto anche la biografia, un ottimismo inesauribile.
Vi consiglio di farci un pensierino, se volete anche voi trascorrere qualche ora piacevole in compagnia di un libro che sprizza ottimismo e ironia da tutti i pori. Purtroppo c’era ancora un ottimo potenziale che, secondo me, non è stato sfruttato a dovere, ma il passo che gli occorre fare per superare questo gradino è molto breve.
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Come per tutti i libri classici, non resta più molto da scrivere a proposito di Se questo è un uomo, perciò mi limiterò a mettere in evidenza gli aspetti che più hanno colpito me: primo tra tutti, il fatto che non vi abbia percepito nemmeno una nota di odio o anche solo di disprezzo nei confronti dei suoi carcerieri – come invece sarebbe stato più che legittimo da parte sua, almeno secondo me. Tutto mi è parso raccontato con una tale schiettezza e semplicità da farlo apparire a un primo sguardo come uno dei tanti romanzi che sono stati scritti sulla storia dei lager… e sapere che invece ogni cosa corrisponde a verità è una vera e propria doccia fredda lungo la schiena.
Tutti dovrebbero leggerlo almeno una volta nella vita, secondo me.
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Devo ammettere che questo libro, nonostante all’inizio ci fossero un paio di aspetti che non mi hanno del tutto convinta, mi ha lasciata piacevolmente colpita. Il primo avvertimento che vi do, però, è il seguente: non ho idea del perché sia stata fatta questa scelta, ma trovo che definirlo “romance fantasy” sia decisamente fuorviante: romance lo è, ma di elementi del genere fantasy non sono riuscita a trovarne neanche uno.
L’idea di base, se vogliamo, non è delle più originali: anche senza rifletterci a lungo, mi vengono in mente almeno una dozzina di titoli, tra libri e film, in cui ritroviamo il tema dei due giovani innamorati il cui amore è ostacolato da una differente condizione sociale. Per rendere Il riflesso dell’anima diverso dai suoi molteplici predecessori serviva qualcosa di speciale, e sono convinta che l’autrice sia riuscita a raggiungere questo scopo quasi del tutto.
L’idea che ho apprezzato maggiormente è stata quella del “salto” tra il 1955 e il 2010, grazie alla quale la storia assume le tinte del giallo: una vicenda d’amore in apparenza classica diventa emozionante e addirittura commovente come capita di rado. Soprattutto la parte finale, poi, è qualcosa di assolutamente riuscito.
In definitiva, dunque, è senz’altro un romanzo che merita di essere letto, le cui qualità sono senz’altro in grado di far chiudere un occhio su alcune piccole sbavature di stile, e soprattutto che è capace di emozionare.
Vi consiglio di farci un pensierino, se volete anche voi trascorrere qualche ora piacevole in compagnia di un libro che sprizza ottimismo e ironia da tutti i pori. Purtroppo c’era ancora un ottimo potenziale che, secondo me, non è stato sfruttato a dovere, ma il passo che gli occorre fare per superare questo gradino è molto breve.
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E che mi dite di voi e delle vostre letture?