Leviathan - La Recensione

Creato il 01 maggio 2015 da Giordano Caputo
Campi larghi, silenzi, terre abbandonate, spiagge deserte. La desolazione nella pellicola di Andrey Zvyagintsev fa da padrone. Un vuoto incolmabile da trasmettere con l'ausilio di un racconto, specchio dei tempi, che vede una Russia in balia del potere e delle grandi forze diventare sfondo di dolore e di morte.
Fugge lontano da Mosca allora "Leviathan", nel nord di un paese affacciato sul mare, dove un Sindaco affatto pulito preme per spodestare dal loro territorio Kolia e la sua famiglia. Abuso di potere al quale legalmente il capofamiglia, assumendo un suo amico avvocato, sta cercando di opporsi e di rilanciare, favorendo così un faccia a faccia ad armi impari che tuttavia non impedisce a Davide di spaventare Golia e passare in vantaggio. Tutto questo prima però che una faccenda privata comprometta i margini della vittoria e dia il via libera ad una reazione a catena devastante come irrefrenabile.
I riferimenti al periodo Putin, neanche a dirlo, sono piuttosto chiari ed evidenti, basti attendere di entrare nell'ufficio del primo cittadino ed accorgersi del quadro fissato in bella vista, posto alle spalle della sua poltrona. Zvyagintsev ci mette di fronte alla realtà di una politica aggressiva e oppressiva, disposta a sporcarsi le mani e ad arrampicarsi ovunque pur di conquistare i propri obiettivi e piegare i deboli. Una politica che vive spalleggiata e in costante armonia con una chiesa ortodossa colma di consigli metaforici, a sfondo interamente sanguinario, volti a incoraggiare i loro adepti nell'utilizzare qualunque mezzo per non perdere di credibilità e restare temibili. Sul volere di Dio, in fondo, non c'è dubbio alcuno: a prescindere dall'operato umano se qualcosa avviene è perché l'onnipotente ha voluto che avvenisse.
La componente religiosa infatti seppur messa sullo sfondo e chiamata in primo piano in un paio di occasioni, dimostra di avere un peso specifico enorme e significativo, sia per quanto riguarda la creazione di un sistema che ha contribuito a rendere le chiese luoghi riservati alla casta e agli ecclesiastici e sia per un discorso dedicato a Kolia di poco conto a livello concreto e di fatti, ma importantissimo in prospettiva.

Perché per riscattare la sua natura prettamente di stampo pessimista "Leviathan" si affida alla Bibbia (e a un Pastore, a pelle, finalmente affidabile e che ha scelto la povertà), in particolare al racconto di Giobbe e alla sua relazione con Dio a seguito delle disgrazie subite nella sua vita. Le connessioni con Kolia ovviamente si sprecano, apparendo quasi una provocazione, ma pensare che l'unica giustizia per lui possa essere quella di ricevere il medesimo destino è solamente un desiderio che da un lato lascia speranzosi e dall'altro enorme amarezza. Se non altro per via del carattere poco paziente e dedito alla religione che l'uomo ha ostentato e difeso in ogni sua apparizione, quel momento compreso.
Il libero arbitrio, la verità e l'equità d'altronde sembrano aver perduto importanza e non esser più alternative, quantomeno non per la totalità della popolazione, e Zvyagintsev, pregando anche lui nel Dio in cui crede, non può chiudere diversamente la sua pellicola se non lasciando i spettatori storditi da un epilogo che non ha nulla di dolce da poter conservare.
A parte, appunto, quel raggio di fede docile e flebile.
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