“Lezioni Americane” di I. Calvino (sintesi). 1/2

Creato il 29 ottobre 2011 da Stroszek85 @stroszek85

Questo post è fatto ad hoc per quelli pigri come me che, dovendo leggere un testo, si gettano su google e scrivono “titolo testo+sintesi”, magari perché non troppo interessati al libro in questione. Di seguito una sintesi di “Lezioni americane”, (rimando anche a wikipedia) libro che è un delitto non aver letto; quindi dopo avervi caldamente consigliato di leggerlo passo a quelli che non intendono accogliere questo consiglio. La sintesi seguirà l’evoluzione del libro passo passo.

Leggerezza.

Aprirò ogni sezione con una citazione dal libro per introdurre il discorso:

“Alla precarietà dell’esistenza della tribù, – siccità, malattie, influssi maligni – lo sciamano rispondeva annullando il peso del suo corpo, trasportandosi in volo in un altro mondo, in un altro livello di percezione, dove poteva trovare le forze per modificare la realtà. In secoli e civiltà più vicini a noi, nei villaggi dove la donna sopportava il peso più grave d’una vita di costrizioni, le streghe volavano di notte sui manici delle scope e anche su veicoli più leggeri come spighe o fili di paglia. Prima di essere codificate dagli inquisitori queste visioni hanno fatto parte dell’immaginario popolare, o diciamo pure del vissuto.”

[Lezioni americane, I. Calvino, 2002, Oscar Mondadori, Milano, cit. pag. 33].

L’approccio che ha Calvino e cosa egli intenda per Leggerezza emerge decisamente da questa citazione; si tratta di un modo per sfuggire alla realtà e ricavarsi un cantuccio nel “non visibile” che possa contrapporsi alla pesantezza del vivere quotidiano; pensiamo alla famosa trilogia (Il barone rampante, Il visconte dimezzato, Il cavaliere inesistente) Cosimo che si rifugia fra le fronde degli alberi per non scendere più a terra; la vita possibile anche senza metà del corpo; la vita possibile anche senza il corpo intero; non sono queste figure che trasmettono una certa leggerezza? La forza del vivere sta forse in questo, nella capacità di immaginare qualcosa di impossibile, che proprio per questo motivo non può che essere leggero.

“E’ sempre in un rifiuto della visione diretta che sta la forza di Perseo, ma non in un rifiuto della realtà del mondo di mostri in cui gli è toccato di vivere, una realtà ch’egli porta con sé, che assume come proprio fardello.”

[Ibid, cit. pag. 9].

Tanto per aggiustare il tiro…

Nella moltitudine di esempi e argomentazioni letterarie che Calvino intavola ve ne sono alcune che tendono a non sminuire affatto il valore della Pesantezza; questo perché ogni lezione non vuole avere caratteristiche dogmatiche e incanalare per forza di cose il discorso letterario in una certa misura: lui sta solo parlando delle sue predilezioni. A riprova di questo la bellissima parte riguardante il confronto fra Dante e Cavalcanti; il primo visto come il poeta della pesantezza, il secondo come quello della leggerezza. Per centrare ancora meglio il concetto cito ora una novella di Boccaccio che ha come protagonista proprio il poeta Cavalcanti (che l’autore ha già spiegato così bene cosa intende che mi è difficile non ricorrere alle sue stesse parole).

“Cavalcanti non era popolare tra loro, perché, benché fosse ricco ed elegante, non accettava mai di far baldoria con loro e perché la sua misteriosa filosofia era sospettata d’empietà:

   Ora avvenne un giorno che, essendo Guido partito d’Orto San Michele e venutosene per lo corso degli Adimari infino a San Giovanni, il quale spesse volte era suo cammino, essendo arche grandi di marmo, che oggi sono in Santa Reparata,[…] vedendo Guido là tra quelle sepolture, dissero: «Andiamo a dargli briga»; e spronati i cavalli, a guisa d’uno assalto sollazzevole gli furono, prima quasi che egli se ne avvedesse, sopra e cominciarongli a dire: «Guido, tu rifiuti d’esser di nostra brigata; ma ecco, quando tu avrai trovato che Idio non sia, che avrai fatto?».

A’ quali Guido, da lor veggendosi chiuso, prestamente disse: «Signori, voi mi potete dire a casa vostra ciò che vi piace»; e posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fusi gittato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò.

Ciò che qui c’interessa non è tanto la battuta attribuita a Cavalcanti […]. Ciò che ci colpisce è l’immagine visuale che Boccaccio evoca: Cavalcanti che si libera d’un salto «sì come colui che leggerissimo era». Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi al nuovo millennio, sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo…”

[Ibid, cit. pagg. 15-16].

Rapidità.

“Tra le molte virtù di Chuang-Tzu c’era l’abilità nel disegno. Il re gli chiese il disegno d’un granchio. Chuang-Tzu disse che aveva bisogno di cinque anni di tempo e d’una villa con dodici servitori. Dopo cinque anni il disegno non era ancora cominciato. «Ho bisogno di altri cinque anni» disse Chuang-Tzu. Il re glieli accordò. Allo scadere dei dieci anni, Chuang-Tzu prese il pennello e in un istante, con un solo gesto, disegnò un granchio, il più perfetto granchio che si fosse mai visto.”

[Ibid, cit. pag. 62].

Questa storiella chiude la parte relativa alla Rapidità. Mi viene subito da dire che la grande abilità di Calvino gli permette di tracciare il più brevemente possibile un compendio di tutto ciò che era stato scritto per tutta la lezione; e riesce ad addensarlo in maniera precisa in questa metafora. Si può dire che questa rapidità deve essere frutto di due cose distinte: la precisione e la capacità di saper raccontare. E’ possibile essere rapidi solo quando si ha ben chiaro il proprio obbiettivo, ed è possibile avere chiaro il proprio obbiettivo solo nel momento in cui si è capito lo stesso con precisione. Inoltre bisogna essere in grado di esplicitare questa rapidità nel miglior modo possibile. Durante la lezione si fa ancora una volta riferimento al Decameron di Boccaccio e a una sua novella, dove si parla di un narratore non capace di narrare (avete presente la sensazione che provate quando una persona vi racconta una barzelletta ma non la sa raccontare?). Si tratta di questo; non a caso Calvino fa continuamente riferimento alla favola popolare e alle modalità popolari di esposizione della stessa, dove le cose più assurde riescono ad apparire logiche e accettabili, risultato di una “strana razionalità”, nonostante tutto. Secondo Calvino la capacità di narrare passa per la Rapidità, senza che peraltro vengano oscurate le ragioni della lentezza.

Esattezza.

“Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:

  1. un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;
  2. l’evocazione di immagini visuali nitide, incisive, memorabili; in italiano abbiamo un aggettivo che non esiste in inglese, «icastico» […];
  3. un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.”

[Ibid, cit. pagg. 65-66].

In questa parte Calvino cita continuamente Leopardi, portandolo in un primo momento come confutante le tesi da lui espresse (essendo Leopardi il poeta dell’infinito/indefinito) in un secondo momento giungendo alla conclusione che per poter essere quello che il poeta era bisognava necessariamente partire da delle fondamenta che invece avessero molto a che fare con l’esattezza e col finito; per poter affermare con decisione il gusto dell’infinito non si poteva che partire da presupposti certi, in una speculazione riflessiva che altrimenti non avrebbe potuto essere né logica o razionale, né tantomeno, per questo motivo, accettabile. L’infinito a cui Leopardi giunge è una conclusione, non un assioma, partendo dalla stessa esattezza che Calvino sta auspicando.

“Tra i libri scientifici in cui ficco il naso alla ricerca di stimoli per l’immaginazione, m’è capitato di leggere recentemente che i modelli per il processo di formazione degli esseri viventi sono «da un lato il cristallo (immagine d’invarianza e di regolarità di strutture specifiche), dall’altro la fiamma (immagine di costanza d’una forma globale esteriore, malgrado l’incessante agitazione interna)» […] Le immagini contrapposte della fiamma e del cristallo sono usate per visualizzare le alternative che si pongono alla biologia e da questa passano alle teorie sul linguaggio e sulle capacità di apprendimento”.

[Ibid, cit. pag. 79].

Siamo quindi giunti a uno dei passaggi più significativi di Lezioni americane. Figuratevi nella mente un cristallo perfettamente geometrizzato all’interno del quale arde una fiamma infinita e pensate al cristallo come al significante e alla fiamma come al significato; avrete un quadro abbastanza definito di cosa sia ciò che Calvino intende per esattezza. Un’esattezza che sia capace di imbrigliare e racchiudere ciò che non è concesso imbrigliare, profanando in un certo senso i significati e costringendoli a espandersi non al di fuori ma al di dentro, in una reazione a catena che farà coincidere infinito e infinitesimo nella implosione in atto.


**Ho deciso di dividere l’articolo in due parti perchè altrimenti risulterebbe eccessivamente lungo. A breve la seconda su “Visibilità”, “Molteplicità” e sul capitolo conclusivo.

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