Recensione a Lezioni di crudeltà di Andrea Leone (Ed. Poiesis, 2010, pagine 63, euro 12)
L’imperativo presente della meraviglia
di Gianpaolo G. Mastropasqua
Immaginiamo un futuro remoto. Immaginiamo l’anfiteatro dell’isola di Delo o le perfezioni auliche di Epidauro delle feste panelleniche, immaginiamo un attore-creatore di smisurata grandezza, un Artaud, un Bene, un dio della Scena immerso nel paesaggio tragico che fu di Eschilo, immaginiamo che cominci a proferir parola, ad essere parola e delirio tra le pietre sperdute e incrollabili mentre tutto intorno brucia, divampa, invadendo ogni sfondo, ogni città umana per l’ultima recita del mondo:
Organismo dell’inizio,
organismo dell’ordine,
rivelo l’unico
segreto del secolo.
Feste della fine,
miracolo morente calcolo
gli errori, gli annali
dei troppi nomi corrotti.
L’anno dissacrato, dissezionando.
Gli eroi della stagione,
nei gemelli della forza scelta,
nei fratelli della frequenza.
Le case invase,
le cerimonie della crudeltà,
il segreto del tempo.
Il gesto violento,
l’estrema giovinezza
geniale del gelo,
fatta di una scomparsa esatta.
Il diluvio del lutto in un attimo.
L’antico invito dell’impero
In alto,
ora che sono stato
visto da un altro,
visto dal tempo
che non lascia scampo,
visto dal Dio del primo teatro.
Ed è il tempo che non lascia scampo, questo, un tempo infimo, misero, privo di grandezza, di altezza eroica, di gesta atletiche, un tempo che ammala con le malattie definitive della razza umana.
“Lezioni di crudeltà”, pubblicato per l’ammirevole editrice Poiesis, è la lezione del distacco alla ricerca di un tempo di esseri incorrotti, l’impresa estrema di Leone è “poesia e destino”, è superare il tempo odierno per rifondare, attraverso un crudele, necessario e marziale esercizio di progressiva perdita dell’effimero, per ritrovare il ritmo dove pulsa l’intreccio tra razionalità del divino e razionalità del corpo, il battito incessante della Bellezza, la cifra olimpica dell’inizio di un tempo che sia epopea altissima <>. Il presente non è che un trucco infantile, una commedia di spettri mediocri che nasconde la crudeltà altra, quella bestiale, meschina, una crudeltà senza precedenti che condanna e ammazza i suoi figli geniali impedendo loro di nascere, costringendoli a “partire” presto con il “giovanissimo Dio antico”:
Nel trucco si nascose
la crudeltà dell’età perfetta
la folle infanzia
che non termina.
E nell’estremo
risveglio frenetico
in suo genio senza tempo.
E ai bellissimi non appartenne
Questo mondo.
Videro il giovanissimo
Dio antico e partirono.
Fu scritto nel profondo
cielo di oscure sentenze
di un’estrema idea vivente.
Alle giovani perfezioni
spettri mediocri
impedirono di nascere.
Gli infami mai nati
sfregiarono, condannarono
l’unico secolo del miracolo.
Era una bellezza straniera:
continua ad abitare
nelle stanze destinate.
Era l’inizio del libro.
Era l’entusiasmo in alto.
Era la mattina senza materia
di chi non è stato salvato
Leone racconta il suo vivo “romanzo del disastro e dell’entusiasmo”, poiché si deve essere “maledettamente” crudeli per resistere allo sfacelo, per schernire questo mondo infante che non vuole crescere per raggiungere l’eterna adolescenza delle morti sublimi, l’adolescenza che si sottrae dall’essere una categoria evolutiva, cronologia, divenendo battito devastato dell’assoluto. La stirpe di Leone è la banda dei poeti adolescenti della bellezza vera (Drieu la Rochelle, Rimbaud, Cvetaeva, Fortini, Gatto, ecc…) coloro che hanno condannato per patto e per nascita ogni cortigianeria e ogni setta in un atto, in un gesto che è trascendenza nobilissima perché “la fusione di sforzo supremo e armonia riproduce nelle membra una vicenda cosmogonica, un caos che diventa ordine necessario delle cose”(M .De Angelis) per l’aderenza totale alla purezza. Leone vuole che il mondo sia dei valorosi e divenga ‘grande’, ma attenzione non è da intendere come adulto, difatti nel divenire adulti per l’autore risiede tutto il male del mondo (la corsa all’utile, i disillusori, i falsi miti, i traditori, le donnette ammiccanti, i venditori venduti, i ladri d’ogni razza, gli assassini della bellezza, i cortigiani del potere, i ragionieri in carriera letterata che si fingono liberi, i dissacratori, in una parola “gli storpi”, quei mediocri mascherati che fanno rivoltare nelle tombe eccelse i grandi poeti adolescenti, strumentalizzandoli per giungere al successo… da letterine) Soprattutto in tal senso Michelangelo Zizzi nella prefazione straordinaria (anche etimologicamente) afferma che i veri poeti sono antidemocratici, antidemocratici soprattutto rispetto a se stessi e definisce la poesia di Andrea Leone come atto “monologico e non dialogico, c’è la ‘pax iuxta’ dopo il confliggere di una lotta necessaria”, di un corpo a corpo con la parola che diviene ossessiva, esatta, ripetitiva, nel ripetersi inverso dei cicli e delle stagioni, del kairos di una fioritura estrema. Lezioni di crudeltà è un’entrata commovente nell’antico e nell’imperativo presente della meraviglia.
Io sono il delirio dei nomi estremi
Io sono le insegne del tempo
Che fu straniero.
Io sono la feroce
Festa che si dissolve.
Io sono la lezione
Del freddo vero.
Io sono l’eccelso
Cielo di scomparsi nel giovane gelo.
Io sono gli ordini
Morbosi delle invasioni,
i giorni più giovani,
l’estimo dell’esattezza estrema
che agonizza la disciplina della mattina.
Invisibile osservo
Il vecchio palcoscenico allo specchio:
è l’esattezza di una bellezza
che non termina.
Io attendo in questo millennio perfetto.
Io tra i figli più felici,
io tra i giovanissimi, mai fioriti
incorruttibili morti bellissimi degli inizi,
io pronuncio le mie immortali
solitudini senza nomi.