“Lezioni di poesia” (03) Lo stile.

Da Stroszek85 @stroszek85

I più perspicaci di voi avranno già capito che il discorso fatto nel precedente articolo [“Lezioni di poesia” (02) Caratteristiche del poeta] ha lo scopo di gettare le fondamenta per la costruzione di un proprio stile che abbia la imprescindibile capacità di scaturire esclusivamente dalla vostra indole; al punto che se una persona vi conosce profondamente e legge le vostre poetiche non deve avere dubbi nel riconoscere in esse voi stessi.

Fatto questo scoprirete le infinite possibilità che offre la parola e vi accorgerete di scoprirle all’interno di voi; non saranno più elementi estranei fatti di qualcosa di diverso da carne e ossa, saranno un prolungamento del vostro essere fra le righe di un foglio bianco steso su un tavolo (o sullo schermo di un computer). Inizierete ad avere difficoltà nel chiamare un vostro componimento “poesia” perché è fuor di dubbio il fatto che nessuno può definire se stesso dicendo di “essere una poesia”, e in questa difficoltà troverete gioia e amore per la parola (non foss’altro perché si presume che i più siano propensi ad amare se stessi); non vi saranno barriere fra voi e la parola e nella mistificazione del vostro ego troverete la poesia, nel contempo scoprendovi a sorridere alla rilettura di un’opera finita durante un piacevole attacco di vanità.

Si parlava quindi di gioia e amore e di come la poesia autentica non possa fare a meno di nascere da uno stile sviluppatosi a seconda di questi due canoni. Questo è valido anche nel caso in cui si stia parlando di una poesia che niente ha a che vedere, per tematiche, con gioia e amore (queste due parole non si rivolgono al sentimento che vi ha spinto a scrivere, si rivolgono alla Parola).

Detto questo è necessario ora introdurre il concetto di “libertà” perché senza di essa non è possibile sviluppare poesia autentica e non è possibile farlo per il fatto che gioia e amore non possono scaturire da nient’altro che dalla libertà.

La parola “libertà”, senza che venga specificato “da cosa” o “di cosa”, non ha molto senso, quindi in questo momento si intende la libertà di scegliere le proprie parole senza che nulla possa interferire in questa scelta.

E’ ovvio che per il semplice fatto di stare al mondo questa libertà non potrà mai essere pura e completa; il vostro scrivere sarà profondamente influenzato dal momento in cui state battendo sulla tastiera, con tutte le sue variabili (dall’evento più pesante a quello più leggero; da una porta che sbatte al fruscio della tenda di una finestra sotto la quale state scrivendo).

Come ovviare a questo problema? Per prima cosa iniziare a non considerarlo un problema ma una forma di arricchimento della propria personalità e, di riflesso, una moltiplicazione del livello della propria unicità. Dicendo questo intendo auspicare nello scrittore una sorta di ricerca di armonia con il contesto, dove egli non sarà più qualcosa di staccato e isolato ma aprirà i suoi confini a tutto, finendo per considerare lo “sbattere della porta” una parte di sé. Transizione da sistema autopoietico a sistema aperto.

 Per ultimo è opportuno specificare alcune cose riguardanti questo concetto.

Per come ho posto la questione pare non debba esserci nessun vincolo: niente di più sbagliato (non voglio che passi questo messaggio). I vincoli debbono per forza di cose esserci, e dovranno coincidere, durante la stesura della prima bozza di un’ipotetica poesia, a quelli che voi stessi vi siete dati, relativi alla forma e al contenuto della vostra futura opera. Ma di questo, probabilmente, si parlerà più in dettaglio in futuro.

Per ora non è necessario nient’altro; il prossimo articolo sarà: “Lezioni di poesia (04) Come nasce una poesia?”


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