Potrebbe anche semplicemente tradursi in un aumento di qualità ed efficienza a parità di prezzo. Ma non sarebbe comunque un ottimo risultato che cambia la qualità della vita e del lavoro nel nostro Paese? Stesso ragionamento per gli effetti occupazionali. Prendiamo l’esempio dei servizi pubblici. Una maggiore concorrenza e trasparenza nei settori pubblici non necessariamente porterà un aumento di posti di lavoro. Potrebbe capitare che certe aziende erogatrici che fino ad oggi hanno assunto centinaia di figli di amici e parenti, si trovino costrette, per poter competere, ad assumerne un po’ meno, persone che siano però veramente competenti e produttive. Ma non sarebbe forse un risultato positivo? E’ vero, la concorrenza, nei settori pubblici come altrove, dovrebbe favorire la creazione di nuove aziende e quindi nuovi posti di lavoro che vadano a compensare la perdita che avrà luogo nelle aziende meno efficienti. Ma non è facile stimare di quanto sarà l’impatto netto nel prossimo anno o due, soprattutto in un contesto di forte contrazione dell’economia nazionale e internazionale come quello attuale. La domanda che dobbiamo porci non è soltanto «quanti posti di lavoro» creeremo quest’anno, ma quali logiche cambieremo, quale Paese vogliamo costruire e quali condizioni stiamo creando affinché ciò si realizzi.
Recuperare efficienza, eliminare sacche di inefficienza e posizioni di rendita, dare alle persone la libertà di potere scegliere se, quando e come produrre un certo servizio op- pure se, quando e come consumarlo, significa dare più opportunità ai cittadini. E anche questa è equità. Anche questa è redistribuzione. Non si ridistribuisce solo dando assegni di assistenza, ma anche creando spazi ed opportunità per chiunque abbia voglia e capacità di mettersi in gioco, a prescindere dalle persone di cui è figlio, amico o parente. Quanti consumatori o quanti aspiranti imprenditori, professionisti, farmacisti e commercianti decidano poi di cogliere davvero queste opportunità nel giro di un anno o due è un altro discorso. Che dipende da fattori economici congiunturali, da fattori culturali (non è detto che tutti gli aspiranti professionisti o farmacisti italiani decida- no di investire i loro risparmi in un’attività imprenditoriale e rischiosa), e anche da una serie di altri fattori di contesto (riforma della giusti- zia civile, del mercato del lavoro, della burocrazia e del fisco, perché anche questi fattori influenzano le scelte d’investimento e di consumo).
Ma il cambiamento che è in gioco è più profondo e va ben oltre il 2012. E per quanto sia giusto discutere e valutare anche gli effetti immediati di questi provvedimenti, occorre fa- re molta attenzione. Per anni siamo stati vittime di riforme fallite perché vincolate agli interessi di breve periodo, affossate dal «chi ci guadagna e chi ci perde». Dimostriamo che abbiamo imparato dagli errori passati. Ci guadagneremo tutti.