Liberazione: Bologna, la strage è domani

Creato il 01 agosto 2010 da Antonellabeccaria

La data del 2 agosto 1980 significa per la recente storia italiana il più grave, in termini di vittime, degli attentati terroristici di stampo stragista che colpirono il Paese nel corso degli anni della strategia della tensione. A tre decenni esatti da quell’esplosione, avvenuta alle 10.25 del mattino nella sala di seconda classe della stazione, un lungo percorso giudiziario, conclusosi nel 2007 con la sentenza della Cassazione che condanna l’ex Nar Luigi Ciavardini, minorenne al tempo dei fatti, consegna una verità giudiziaria in cui si fanno i nomi degli esecutori materiali (insieme a Ciavardini, anche Valerio Fioravanti e Francesca Mambro), dei depistatori (uomini degli apparati di sicurezza dello Stato) e di piduisti, a iniziare da Licio Gelli.

Un impianto accusatorio passato attraverso undici processi (se si comprendono anche quelli sui depistaggi) e che ha tenuto dal punto di vista giudiziario. Ma che, a trent’anni di distanza, viene costantemente rimesso in discussione a favore di altre “piste”, a iniziare da quelle internazionali, che vorrebbero spostare l’asse della strage di Bologna verso il terrorismo straniero, in primis quello filo-palestinese con l’eventuale supporto (secondo Carlos, al secolo Ilich Ramírez Sánchez, esponente del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, al momento in carcere a Parigi) di Cia e Mossad.
“Non si è indagato abbastanza in questa direzione”, dicono i sostenitori del fronte “innocentista” a supporto dei neofascisti appartenenti ai Nuclei armati rivoluzionari. Ma in attesa delle risultanze investigative in corso su questo fronte (il cui esito potrebbe giungere entro la fine del 2010), occorre controbattere che a oggi ci sono elementi che confermano la validità delle sentenze formulate. Sentenze che sì, è vero, condannano la “manovalanza” (eversori neri) e i “fiancheggiatori” (servizi segreti sotto l’egida piduistica), ma che oggi possono essere integrate da ulteriori elementi che stanno uscendo altrove.

Il processo di Brescia: una lente sul mondo del terrorismo nero

L’altrove a cui far riferimento è il processo in corso a Brescia per la strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974. Iniziato nel dicembre 2008, è un caleidoscopio che racconta una stagione di terrore stragista ben oltre i fatti addebitati agli imputati. Nel corso di decine di udienze, hanno preso la parola ex appartenenti a Ordine nuovo e Avanguardia nazionale, uomini che sono appartenuti ai servizi segreti (tra tutti si ricordi il generale Gianadelio Maletti, riparato in Sudafrica dopo la condanna per le coperture fornite ai responsabili della bomba di piazza Fontana), esponenti delle forze dell’ordine che hanno dato un importante contributo alla ricostruzione degli eventi di quegli anni (come il colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo e l’ispettore di polizia Michele Cacioppo).

Il processo di Brescia (ascoltabile integralmente attraverso le registrazioni pubblicate da Radio Radicale) dà così anche qualche informazione in più per quel che riguarda la strage alla stazione di Bologna. E vediamole, dunque, queste informazioni, che consentono di fare un passo ulteriore verso i pezzi di storia ancora mancanti alla bomba del 2 agosto 1980.

Se già il giudice Mario Amato, ucciso dai Nar a Roma il 23 giugno di quell’anno, aveva in due riprese denunciato davanti al Consiglio superiore della magistratura l’imminente pericolo di una ripresa terroristica in Italia (il paradosso è che riferisce al vicepresidente del Csm, Ugo Zilletti, iscritto alla loggia massonica P2), possiamo dire che anche nel mondo neofascista si parlava dello stesso argomento.

Lo fece per esempio Alberto Volo, estremista siciliano e informatore dei servizi segreti statunitensi (o almeno così diceva di se stesso), parlando a Francesco Mangiameli, l’esponente della direzione nazionale dell’organizzazione neofascista Terza posizione ucciso dai Nar l’9 settembre 1980 a Tor de’ Cenci. Volo, in quell’occasione, diede anche un termine di misura per comprendere la portata di quanto era in preparazione: qualcosa tipo la Rosa dei Venti, organizzazione di stampo golpista legata a tentati colpi di stato, come il golpe Borghese. E sempre nell’ambiente dell’estremismo neofascista si diceva anche (lo farà per esempio l’ordinovista Marcello Soffiati) che questo progetto avrebbe riscosso le simpatie “americane”.

In parallelo a queste informazioni – e alle notizie “preventive” della strage alla stazione di Bologna, fornite da personaggi come Presilio Vettore, Aldo Del Re e Maurizio Tramonte – da Brescia si fa anche il punto sulle attività massoniche. Se ne legge nella perizia realizzata da Giuseppe De Lutiis e Piera Amendola su richiesta dei pubblici ministeri bresciani e quanto scritto dai due consulenti racconta la storia di un progetto di unificazione delle logge italiane, da ricondurre sotto il controllo della P2. Un nome tra tutti risulta centrale nella vicenda che ci interessa: è quello di Gaspare Cannizzo, massone vicino all’ordine martinista e neotemplare che avrebbe dovuto avvicinare agli ambienti gelliani le fronde del cattolicesimo tradizionalista, ma che fa di più, facendosi uomo di collegamento con il mondo dell’eversione neofascista siciliana. In proposito, scriveva già nel 1989 l’Alto commissario antimafia:

Mangiameli apparteneva all’Ordine Martinista. Di questa adesione [...] aveva infatti parlato Stefano Alberto Volo al dottor Falcone, riferendo che Mangiameli, nell’estate del 1980, gli aveva proposto di entrare a far parte di un’associazione segreta che si ispirava ai principi dei Templari e del Santo Graal [...]. Nell’associazione avrebbe potuto essere introdotto da Gaspare Cannizzo, da Volo conosciuto nella casa di ‘Tre Fontane’, nel periodo in cui vi erano ospitati Valerio Fioravanti e la Mambro. Cannizzo è direttore responsabile del periodico palermitano ‘Le vie della tradizione’, rivista esoterica nella quale scrivono non pochi massoni, e il noto Claudio Mutti.

Collegamenti tra neofascismo, massoneria e criminalità organizzata

Infine, se collegamenti tra il mondo dell’eversione e quello mafioso già erano emersi in relazione al golpe Borghese (ne parlarono Tommaso Buscetta e Antonino Calderone), oggi alcuni elementi di dettaglio (per quanto non marginali) ci raccontano la storia di protezioni fornite per esempio ad Alberto Volo e a Francesco Mangiameli da parte di Salvatore Davì (lo stesso cognome di colui che fu indicato come una delle persone coinvolte nell’omicidio di Piersanti Mattarella, il presidente della Regione Sicilia assassinato il 6 gennaio 1980, e lo stesso uomo ancora di recente finito nei guai per un giro di estorsioni gestito dai clan di Partanna Mondello). Ma ci raccontano anche di documenti del futuro pentito Angelo Siino in mano a neofascisti (Volo) e di altri terroristi (Mauro Addis, “collaboratore” di Fioravanti) che stringevano accordi con realtà criminali. Lo ha detto ai giudici di Brescia un altro ordinovista, Giovanni Ferrorelli, in odor di appartenenza al “Noto servizio” (o “Anello”, apparato di intelligence “informale” creato nel 1943 dal generale Mario Roatta, accusato di crimini di guerra, tra cui l’omicidio del fratello Rosselli, e poi passato sotto egida direttamente politica).

Ecco, questi sono solo alcuni degli elementi che i più recenti giudiziari raccontano della storia che ruota attorno alla strage del 2 agosto 1980. Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione delle vittime, li ha chiamati “ramoscelli che germogliano e che non vanno sottovalutati. La magistratura, oltre al lavoro che si sta svolgendo a Brescia, dovrebbe accertare a questo proposito se si tratta di ramoscelli destinati a crescere e dunque a raccontare un altro pezzo di ciò che la strage alla stazione di Bologna ha significato oppure se sono destinati a seccarsi. Ma, oltre ad andare a caccia di ‘piste alternative’, qualche ulteriore verifica su questi fatti andrebbe condotta”.

(Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano Liberazione del 1 agosto 2010)