Qualche giorno fa la Procura di Forlì – in collaborazione con le forze dell’ordine – ha disposto la perquisizione di 15 centri massaggi orientali e 20 abitazioni di altrettanti indagati, 18 dei quali di nazionalità cinese. L’operazione, denominata “Dummy Massage”, ha “svelato” l’inverosimile. Gli agenti della squadra mobile hanno certificato il via vai di professionisti, impiegati, pensionati, operai e manager in trasferta per un giro d’affari complessivo di circa 150 mila euro al mese. Gli abitué dell’intermezzo pomeridiano erano soliti recarsi in questi centri benessere per “ammorbidire” l’ernia al disco, riabilitare il menisco zoppo, la spalla fuori uso, la cervicale di stagione e concedersi mezz’oretta di relax. Costo del massaggio? 40 euro, ma con altri 20 si poteva “integrare” la prestazione curativa con un extra sessuale e – dalle confessioni carpite ai pazienti e le informazioni fornite dalle massaggiatrici – pare che fossero davvero pochi i clienti recalcitranti e ostili alla variante erotica. Morale della favola: locali chiusi, 4 arresti e una ventina gli indagati accusati di sfruttamento della prostituzione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
La prima considerazione è d’obbligo: pur non essendo una del mestiere ne una luminare arruolata nelle fila della magistratura italiana, sfilando davanti alle insegne di questi centri massaggi con la cinesina sulla porta in giarrettiera, le vetrine oscurate e le lucine ammiccanti, ne avevo perlomeno messo in discussione la professionalità e la natura dell’attività svolta. Insomma, non mi stupisce che gli agenti della squadra mobile nel corso delle perquisizioni e dell’azione investigativa di questi mesi abbiano rinvenuto – nei locali posti sotto sequestro – “oggetti” del mestiere e “tanato” signorine in déshabillé…
La seconda considerazione – strettamente personale – è frutto dell’oggettiva incapacità di questo Paese, che si barcamena tra la decadenza della capitale dipinta nella Grande Bellezza di Sorrentino e il “Salva Roma” di Renzi che tenta di salvarne perlomeno la facciata – di darsi pace e regolarizzare una volta per tutte l’esercizio volontario del mestiere più antico del mondo. Viviamo in uno Stato che proprio non ce la fa. Non ce la fa a “denudarsi” di quel perbenismo da salotto che si trascina sul groppone da oltre cinquant’anni. L’approvazione della Legge Merlin (1958) ci ha castrato e ha reso il dibattito sulla regolamentazione della prostituzione un tabù. Ci stupiamo e quasi inorridiamo se la massaggiatrice cinese sfila dalle tasche del paziente con cervicale un surplus di 20 euro per altri dieci minuti di piacere e ci lamentiamo delle signorine in minigonna inguinale che passeggiano di notte sui viali delle periferie urbane.
Se una donna decide volontariamente di sfruttare economicamente il proprio corpo facendo del bene a terzi, ben venga, che lo faccia. C’è bisogno di coraggio e serietà da parte del legislatore nel trattare un fenomeno che – se ghettizzato – rischia di sforare a macchia d’olio nello sfruttamento e nell’illegalità. C’è bisogno di maggiore regolamentazione e tutela di chi liberamente sceglie di prostituirsi, tassandone l’attività.
Diversamente, care italiane, continuiamo pure a cadere dalle nuvole se in questi “centri riabilitativi” non curano propriamente il gomito del tennista o la sindrome del tunnel carpale..
di Beatrice Lamio