Detto questo, se nascondere il dramma della situazione economica italiana dietro le colpe della Germania è certamente inutile, oltre che cieco, non è però possibile nemmeno fare l’opposto, cioè chiudersi gli occhi davanti ad un fatto che riguarda non solo l’Italia, ma l’intera zona euro: la Germania, con le scelte di austerity, di intransigenza verso i debitori e i paesi in difficoltà, rischia di indebolire la tenuta dell’Eurozona. Ed è parere, oltre che degli Usa (secondo quanto riportato in questi giorni), anche di numerosi economisti. Rievochiamo qui, a modi di esempio, le posizioni del Nobel Paul Krugman, secondo cui le scelte di Berlino hanno aggravato la spirale recessiva e difficilmente porteranno l’Unione fuori dal fango della crisi. Che, ormai, dura da molto, troppo tempo.
Gli Stati Uniti accusano la Merkel di esportare troppo, violando i trattati del surplus commerciale. Ebbene, mi sembra sbagliato affermare – come fai te - che, invece, bisognerebbe “ringraziare Berlino di tendere a galla la traballante economia Europea”. Perché se è vero che la crescita delle esportazioni tedesche permette alle statistiche sull’Europa presa nel suo insieme di non sfigurare troppo, è altrettanto vero che questo significa riduzione della competitività per le aziende degli altri partner (evidentemente svantaggiati dall’impossibilità di svalutare l’euro per sostenere l’export) e maggior afflusso di capitali nei territori tedeschi. Togliendoli – di fatto – alle altre nazioni europee, che invece devono rispondere alla crisi diminuendo le importazioni e i consumi interni, così da poter sostenere il debito. Senza addentrarci sulle accuse del Tesoro americano alla Germania, è forse utile ricordare un po’ di storia economica per capire il perché del sentimento antieuropeista e antitedesco che sta crescendo. Quando nel secondo dopoguerra la situazione economica dell’Europa era drammatica e i consumi dei cittadini dei paesi appena usciti dalla guerra praticamente prossimi allo zero, la scelta degli Stati Uniti fu quella del “creditore responsabile”: tassandosi ed intraprendendo il famoso piano Marshall favorì la ripresa del mercato europeo. I motivi di tale scelta erano anche economici: se l’Europa non si fosse ripresa, gli Usa avrebbero perso un mercato fondamentale, di cui la sua economia non poteva fare a meno. Allo stesso modo, la Germania ha incentivi di natura economica nell’evitare il collasso dell’eurozona: un ritorno alle monete nazionali non è certo ben visto a Berlino. Quindi, a detta di molti economisti, le scelte future della Germania dovrebbero essere molto distanti dalle politiche tenute sino ad ora e avvicinarsi, invece, a quelle fatte dagli Stati Uniti dopo il ’45. Che nel caso attuale significa sostenere l’importazione, favorendo così l’export dei partner europei, e allentare la presa sull’inflazione, che permetterebbe a paesi come Italia e Grecia di ridurre il valore del proprio debito e – ancora una volta – incentivare le esportazioni.
La crisi dell’eurozona non è tutta da addossare sulle spalle dei tedeschi e, ovviamente, la Germania può essere additata come la causa di tutti i mali italiani, che sono invece sistemici e di più lunga data: corruzione, debito pubblico, disoccupazione e instabilità politica. Ma se indietro non si può tornare, si deve guardare avanti ed evitare errori del passato. La Germania non può più abbassare la testa e portare avanti l’ariete dell’austerity a tutti i costi.
Giuseppe De Lorenzo
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