Libero Scambio e Geografia: un processo “in fieri”

Creato il 23 marzo 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Una delle realtà maggiormente attinenti alle dinamiche odierne è rappresentata dal libero scambio.

La geografia del libero scambio sembra essere una realtà, ad oggi, tra le più sviluppate nell’intero pianeta. Prima, però, di delineare quella che è l’effettiva geo-localizzazione delle aree di libero mercato, è necessario introdurre e trattare alcuni concetti da cui questa geografia non può esulare e senza i quali non potrebbe esistere.

La globalizzazione.

In questo senso, il concetto che negli ultimi tempi ha contribuito di più all’adempimento di tali politiche è quello di globalizzazione. Con globalizzazione si intendono una serie di processi che hanno determinato e determinano profondi mutamenti nelle relazioni umane e geografiche che si espandono e interconnettono luoghi un tempo separati da enormi distanze; si è sempre più interconnessi in reti e sistemi di portata globale. I detrattori della globalizzazione e quindi di conseguenza del neoliberismo sono convinti che questi fenomeni siano la causa di situazioni di esclusione sociale e della “povertà dilagante”. Sicuramente l’interconnessione non avviene in tutto il mondo alla medesima velocità e soprattutto non dà sempre i medesimi risultati, siano essi positivi o negativi. Dal canto loro, i sostenitori di politiche neoliberiste sono convinti che le naturali inclinazioni del mercato siano sufficienti per generare crescita economica e, cosa non da meno, uno sviluppo sociale equo e meritocratico.

Non è solo l’economia ad aver avuto una ristrutturazione totale con l’avvento della globalizzazione, bensì ogni genere di attività umana ha visto ridotte al minimo le incolmabili distanze che una volta erano insormontabili. E’ quindi possibile affermare che un ruolo centrale, nella conformazione geografica del libero mercato odierno, è riservato alla sempre più alta interconnessione degli attori in gioco.

Se si analizza l’andamento degli investimenti esteri (IE) – ovvero tutti quegli spostamenti di beni tangibili o intangibili messi in atto da una persona fisica o giuridica, da un’economia ad un’altra con lo scopo di creare profitto, siano essi sotto il controllo totale (IDE) o parziale (IIE) dell’investitore – è possibile comprendere il ruolo preponderante dell’interconnessione. Ogni tipo di investimento estero comincia ad avere rilevanza in economia nell’Ottocento, nonostante alcuni primordi siano rintracciabili già nel XVI secolo con la Compagnia delle Indie. Dal XIX secolo ad oggi gli investimenti oltre i confini statali hanno subito un’impennata senza eguali, soprattutto nella seconda metà del Novecento; questo grazie allo sviluppo della globalizzazione, di organizzazioni internazionali a tutela degli stessi investimenti come per esempio la MIGA e di aree di libero scambio.

La aree di libero scambio.

Sono proprio le aree di libero scambio un altro concetto chiave della geografia in esame, insieme alle unioni doganali e al mercato comune. Infatti è bene non confondere i termini sopraccitati; per quanto essi siano tutti volti ad un’integrazione economica, ne rappresentano diversi stadi di progresso. Le aree di libero scambio rappresentano la volontà di alcuni stati, i quali, attraverso un accordo in materia (ALS), decidono di abbattere i dazi, le restrizioni qualitative e quantitative sui beni commerciati tra i facenti parte dell’accordo. Le unioni doganali, oltre ad eliminare ogni barriera volta ad impedire il libero commercio tra i paesi contraenti, istituiscono una tariffa comune per i dazi verso l’esterno. Stadio ancora più alto dell’integrazione economica è rappresentato dal mercato unico, il quale è un’unione doganale volta a semplificare, tramite una regolamentazione comune, i movimenti dei quattro fattori di produzione: capitale, lavoro, beni e servizi. L’obiettivo è quello di rimuovere ogni barriera tecnica, fisica e fiscale tra le parti contraenti, istituendo un’unica entità sul mercato internazionale.

Geografia del libero scambio.

Avendo sviscerato alcuni elementi chiave per comprendere lo sviluppo geografico del libero mercato, bisogna delineare all’atto pratico quale sia la sua espansione sul territorio. Ciò che ha evidenziato più di tutto la necessità di creare un mercato sovranazionale è sicuramente la comparsa di attori privati che non esauriscono la propria competenza entro i confini nazionali. A tal proposito la politica ha dovuto, nel corso degli ultimi anni, adeguarsi ai cambiamenti e indirizzarsi verso la creazione di ampie zone di libero scambio in tutto il mondo, così da favorire il commercio e facilitare gli spostamenti di capitali e beni.

L’Unione Europea e il libero scambio.

L’esperienza più “antica” e meglio strutturata è sicuramente quella europea, alla quale hanno fatto seguito numerose organizzazioni internazionali d’integrazione regionale volte al medesimo obiettivo. La politica commerciale è competenza esclusiva dell’Unione Europea; ciò gli consente di avere una voce unanime sulla scena internazionale e un peso nettamente più rilevante rispetto alle economie dei singoli stati membri. Essendo perciò possibile parlare di un’unica economia degnamente integrata, l’UE rappresenta il più grande mercato mondiale in riferimento al prodotto interno lordo, seguita a ruota solo dagli Stati Uniti.

Il libero scambio rappresenta per l’Unione un obiettivo più importante che mai per la crescita economica e la creazione di posti di lavoro. Due terzi delle importazioni sono materie prime, beni intermedi e componenti di cui hanno bisogno i produttori dell’UE. Il mercato europeo deve rimanere aperto a queste forniture. Limitare le importazioni o aumentare i dazi sarebbe controproducente, poiché farebbe salire i costi e ridurrebbe la competitività delle imprese europee sia nell’UE che all’estero. La liberalizzazione degli scambi crea ulteriori opportunità per l’innovazione e rafforza la produttività. I flussi commerciali e di investimenti diffondono le innovazioni, le nuove tecnologie e il meglio della ricerca, migliorando i prodotti e i servizi destinati alle persone e alle imprese. La

stessa Commissione Europea ha previsto che se fossero completati tutti gli accordi di libero scambio attualmente in atto, ciò significherebbe un aumento del PIL del 2%. Un esempio lampante è rappresentato dal Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti; esso non è una semplice aggiunta alle costellazione di sigle che riassumono i nomi di organismi e trattati internazionali, ma quella dell’accordo per l’istituzione di un’area di libero scambio tra USA ed UE.  L’accordo, i cui negoziati vanno avanti dal Luglio 2013, si pone l’obiettivo di creare un’integrazione economica tra i due mercati eliminando ogni barriera non tariffaria, adottando degli standard comuni e riducendo al minimo i dazi doganali. Tutto ciò, se avrà successo, rappresenterà la più grande zona di libero scambio al mondo, inglobando oltre metà del PIL mondiale come ci spiega anche John Hilary nel suo saggio.

Altri progetti di libero scambio.

Esistono numerose altre esperienze d’integrazione economica, che, seguendo spesso l’esempio europeo, hanno creato nuove aree di libero scambio e unioni doganali; così la pratica internazionale smentisce i detrattori del libero scambio. I progetti sono numerosi, tra essi è possibile annoverare: l’APEC (Asia-Pacific Economic Cooperation), il CACM (Central American Common Market), il CARICOM (Caribbean Common Market), l’ECOWAS (Economic Community of West African States), EFTA (European Free Trade Association), il Mercosur (Mercato comune dell’America meridionale) e il NAFTA (North American Free Trade Agreement). Gli esempi sono molteplici e l’elenco non si esaurisce ai trattati appena elencati, sebbene essi rappresentino le aree di libero scambio meglio strutturate. Lo stesso NAFTA, di cui fanno parte Stati Uniti, Canada e Messico, al momento della ratifica il 17 Dicembre 1992 ha apertamente dichiarato d’ispirarsi al modello europeo, come importante esperienza di liberismo economico.

La direzione della società globale.

È chiaro come la geografia del libero scambio abbia ad oggi un respiro globale. In un mondo sempre più globalizzato vige la necessità di non frapporre eccessive barriere al commercio, le quali rischierebbero d’isolare un’intera regione ed estrometterla dal più grande mercato mondiale. Sicuramente questo mercato ha in sé enormi potenzialità, ma anche alcuni limiti. Coloro che sono a favore della globalizzazione dei mercati fanno notare come essa possa dare la possibilità agli investitori di creare ricchezza direttamente sul territorio ospitante, riqualificando zone del mondo che necessitano di aiuti. Chi d’altro canto è a sfavore di questo sistema dichiara che investendo in aree normativamente poco regolamentate, si ha la possibilità di sfruttare il territorio, depauperandolo. Le tesi in contrasto al libero scambio e al mercato globale partono, però, dall’assunto che lo sviluppo economico debba essere calcolato in termini etici e si è già visto come in economia ciò possa essere contraddittorio. Inoltre, se si pretende di analizzare la situazione eticamente, sorge spontaneo domandarsi se si possa considerare questo tipo d’investimenti come degradanti per il paese ospitante o una possibilità seppur minima di incremento dell’occupazione per situazioni di estrema povertà. La risposta non è immediata e soprattutto non è il fine di questa analisi, il dibattitto mondiale sul tema è rimesso a più alti consessi.

Ciò che è certo è che il mondo abbia intrapreso una strada, che piaccia o meno: oggi è necessario fare i conti con una geografia commerciale che valica inesorabilmente i confini nazionali e che sempre più spesso non è una geografia “fisica”, bensì virtuale. Lo spazio geografico, elemento base della disciplina, si sta sempre più digitalizzando, soprattutto in contesti economico-finanziari creando così il sovrapporsi di due discipline complementari: la geografia reale e quella virtuale. Ignorare questo andamento significa falsare i risultati dell’analisi, poiché nello spazio digitale le aree di libero scambio sono ancora più ampie che sul territorio.

In ultima analisi, tralasciando le considerazioni di valore, l’Unione Europea si è resa ben conto della necessità di aprire ogni tipo di rotta commerciale, a prescindere dai rapporti politici che legano i vari stati, in modo da poter giocare un ruolo preponderante sullo scenario globale, reale o virtuale che sia. La stessa Commissione afferma che “in quanto principale blocco commerciale a livello mondiale, l’UE ha un forte interesse ad aprire i mercati e a disporre di quadri normativi trasparenti. Consapevole della sua enorme responsabilità nei confronti dei propri cittadini e del resto del mondo, l’UE porterà avanti l’attuale strategia e continuerà a difendere energicamente un sistema commerciale globale aperto ed equo mediante accordi bilaterali e multilaterali”. Nonostante sia inevitabile che molti paesi ravvisino nel protezionismo la soluzione ai problemi, il G20 ha rinnovato il suo impegno a non implementare misure restrittive per il commercio e a contrastare ogni tentativo di farlo da parte di stati terzi.

Tags:geografia,liberismo,libero mercato,libero scambio,mercato,nafta,UE,Unione Europea Next post

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