“Libertà” di Jonathan Franzen

Creato il 24 maggio 2011 da Sulromanzo

(Traduzione di Silvia Pareschi, Einaudi 2011)

A partire da quale momento della nostra vita sentiamo parlare del concetto di libertà? Forse è proprio quando non se ne sente parlare ancora in termini espliciti, cioè nell’infanzia, che è più chiara in noi l’idea del nostro spazio interiore; quando ancora non conosciamo il discrimine tra sogno e realtà, tra immaginazione e realizzazione concreta, paradossalmente siamo più consapevoli di quello che veramente ci fa stare bene e che desideriamo davvero.

In seguito, da quando ci si siede sui banchi di scuola in poi, la Società nelle sue molteplici cellule (“la mia libertà finisce dove inizia la libertà dell’altro”, i versi di Paul Eluard, le guerre, le lotte per la libertà...) inizia a parlarcene, e le categorie in noi si complicano del tutto. Tanto che può diventare un’operazione difficile capire se quello che scegliamo è il prodotto della nostra libertà interiore, o se invece è la reazione coatta ad un’azione esterna. Direi che nel romanzo di Jonathan Franzen, tutti i personaggi sono alle prese con la risoluzione di questo affannoso problema, chi prima chi dopo.

A cominciare dai personaggi che aprono la scena del romanzo. All’interno della struttura narrativa organizzata dall’autore, il primo capitolo rappresenta quasi un discorso chiuso, una sorta di micro-romanzo indipendente. Se non si può parlare di sperimentalismo dal punto di vista stilistico, ci troviamo ugualmente di fronte ad un percorso narrativo efficace, che conferma come nella narrativa americana il tentativo di descrivere la società contemporanea necessiti di pattern nuovi, di schemi narrativi di volta in volta differenti.

Il primo capitolo, infatti, sembra una storia a sé, apparentemente autonoma e conclusa. I due protagonisti, Walter e Patty, fanno il loro ingresso nella cittadina di Ramsey Hill con entusiasmo e intenti pioneristici. Iniziano il loro percorso con un gesto che in quel contesto è già di per sé una sfida: “Walter e Patty erano stati i giovani pionieri di Ramsey Hill, i primi laureati a comprare una casa in Barrier Street da quando il vecchio cuore di St Paul era caduto in disgrazia, trent’anni prima. Avevano speso pochissimo per la loro villetta vittoriana, e poi avevano impiegato dieci anni per ristrutturarla, ammazzandosi di lavoro.”

Entrambi hanno un vissuto personale e familiare da cui tentano di prendere le distanze. E il loro modo di compiere delle scelte si realizza proprio come una reazione ad una situazione precedente. Entrambi infatti sono a modo loro esibizionistici e provocatori, anche in quelle che sembrano scelte tradizionali; come Patty, che, da giovane promessa dello sport, ex atleta al college, sceglie di non lavorare per dedicarsi completamente alla famiglia.

Sempre il primo capitolo segue i due protagonisti lungo un arco temporale abbastanza esteso da vedere i loro due figli, Jessica e Joey, ormai più che adolescenti. Tanto da mostrare al lettore che il sogno patinato di questa famiglia si infrange di fronte ad atteggiamenti apparentemente inspiegabili: come ad esempio che Joey vada ad abitare presso gli odiati vicini, con la figlia dei quali, Connie, si è precocemente fidanzato. O che Patty si faccia affascinare, forse innamorandosi, da Richard Katz, l’amico d’infanzia di Walter, musicista rock egocentrico e narcisista.

Alla fine del capitolo, vediamo così i due protagonisti completamente trasformati rispetto alle loro scelte iniziali, e soprattutto Patty, sull’orlo di un fallimento da cui sembra difficile possa rialzarsi. Anche perché al lettore è permesso assistere a questi fatti, e valutarne le dinamiche, così come li vedrebbero i vicini di casa, con un occhio quindi tutto esterno e inconsapevole delle motivazioni profonde.

Dal secondo capitolo in poi, la prospettiva cambia completamente. Con una tecnica da montaggio cinematografico, Franzen prende ognuno dei personaggi e ne sviscera singolarmente eventi ed emozioni, come se al lettore adesso fosse accessibile un esclusivo “dietro le quinte”, per capire le motivazioni di quello che nel primo capitolo ci è narrato con ricchezza di dettagli ma senza indicarci le ragioni profonde.

Emerge così il concetto dilibertà: ogni personaggio individua la sua strada nella ricerca di essa, quando finalmente realizzare la libertà diventa individuare i propri desideri e non, al contrario, giocare una partita a scacchi con l’altro, in un rapporto di dipendenza in cui le dinamiche non si fondano sulla scelta reciproca ma su un meccanismo compulsivo di azione/reazione (come nel caso del sentimento che lega Patty a Richard, il musicista che fino ad un certo punto della storia non riesce ad oltrepassare il limite del suo rapporto narcisistico e autoreferenziale con la musica e con gli altri).

Ma forse alla fine sarà proprio Patty, quella apparentemente più vincolata dai suoi meccanismi interiori, a compiere la scelta di vita più insospettabile, e quindi più libera.


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