LIBIA 2012: una società traumatizzata

Creato il 20 agosto 2012 da Maria Carla Canta @mcc43_

– Un paese in disordine post-traumatico
— Il folle caso dei bambini al volante
– Speaker  senza velo
contestata da Jalil
Tripoli e Bengasi: gangs, rapimenti,       esplosioni,  attacchi alla CRI
— I dimenticati: gli sfollati e la gente di Tawarga
— Le opposte propagande: Governo e lealisti

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Un’Università australiana ha condotto uno studio sulla popolazione libica ed è   emerso che un’alta percentuale di persone soffre di PTSD, la Sindrome da disordine post-traumatico, e di depressione  causate del conflitto del 2011.
Il dato non stupisce perchè si è trattato di  un sovvertimento subitaneo e violento dell’ordine sociale che, a differenza di quanto accaduto in Tunisia ed Egitto dove intere masse disarmate sono scese in piazza per provocare il cambiamento,  è avvenuto per opera di milizie locali o di professionisti del terrorismo, in entrambi i casi retribuiti per combattere, e con  l’intervento della NATO.
Ciò che rallenta il superamento del trauma  è il diniego: la sana  preoccupazione  – davanti al compito di creare nuove Istituzioni e accordarsi su  un patto sociale unificante  le varie realtà locali ed etniche – è celata dalla collettiva frenesia dei  festeggiamenti di piazza e dall’abbandono a comportamenti irrazionali.
Questo tweet riassume l’irrequietezza senza scopo

I think #Libyans have some sort of “patience” phobia ! Every one is in hurry even though they have tots nothing to do!
— Ali Shaeb (@Ali_Shaeb)

e questi altri la gravissima tendenza a coinvolgere i bambini. Oltre alla  presenza di armi in gran parte delle case, saltuaria causa dei lutti, ai   bambini e consentito di guidare le automobili. Ciò in un  paese che da sempre ha come prima causa di morte accidentale gli incidenti stradali.

#Tripolidiaries. Most aggressive irresponsible driving is done by children. average age 15.
— Sami Tabib (@Uaepodiatry)

Quindici anni e già al volante a folleggiare più dei genitori, ma ricordo un tweet che riferiva il caso di  un bimbo di nove …

#Tripolidiaries. A campaign needs to be started. STOP CHILDREN DRIVING.
— Sami Tabib (@Uaepodiatry)

Certamente occorre con urgenza  una rieducazione, cominciando dai genitori.

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Se da un lato vi sono inviti alla razionalità – c’è anche chi propone una campagna per un “consumo responsabile” delle risorse - a concretizzarsi sono spesso le futilità – come la stilista che torna in patria  “dopo venti anni in Italia” per la sfilata della sua collezione di modelli femminili – e l’arroganza ottusa della classe dirigente.

La cerimonia del passaggio di poteri dal CNT all’Assemblea Costituente prevedeva un intervento dell’indipendente, e non velata, Sarah Elmesallati. Qualcuno le grida “Copriti la testa”, un deputato di Misurata lo ribadisce e lascia  la sala per protesta mentre Sarah seguita a parlare; un assistente di Jalil si  avvicina sussurrando “Te lo chiedo come a una figlia, per favore smetti”.  Sarah guarda verso Mustafa Abdul Jalil,  gli vede fare un gesto che l’invita ad andarsene e a quel punto cede,  lasciando il posto ad uno speaker maschio.
L’obbedienza di Sarah è altrettanto inappropriata quanto l’arroganza di Jalil.
E’ una giovane  come tante, impreparata a valutare le sfide che dà e che riceve.
In un paese dove la maggioranza delle donne ha ormai adottato il velo, bastava raccogliere la chioma, invece di dispiegarla come  la muleta del torero dinanzi al muso del toro, per non vellicare  il becero bigottismo. In fondo nessuno ha mai attaccato la Ministra della salute che esibisce una corta zazzera scoperta.  Percepire dove si è e come atteggiarsi è fondamentale in politica, mentre la sua imprevidenza ha suscitato un dibattito sterile e regressivo.
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Nell’inquieta Cirenaica la condizione economica privata e pubblica non è facile;  le autorità di Bengasi avevano promesso di erogare 500 dinari per  le spese della festività dell’Eid alle famiglie che ne avessero fatto richiesta, ma il pagamento non è avvenuto. Le  casse comunali sono a secco: si  attendono dalla capitale  i fondi,  68 milioni di dinari, previsti per la gestione della città. Risolta, invece, l’emergenza rifiuti che ammorbava le vie del centro grazie all’arrivo di adeguati automezzi per la raccolta.
Ancora a Bengasi, il 5 agosto si è tenuta la grande manifestazione “Sì alla sicurezza, no alle milizie armate” dopo il verificarsi una serie di violenze, tra cui il rapimento di sette membri della delegazione della Mezzaluna Rossa Iraniana e un’esplosione vicino al quartier generale dell’Intelligence militare.

Nelle parti del paese agitate da conflitti tribali gli accordi hanno un valore  labile: a Kufra la tregua è stata rotta il giorno successivo all’entrata in vigore, provocando una vittima nella tribù dei Tebu.

La popolazione nera della città di Tawarga – fatta oggetto di torture da parte delle milizie di Misurata, le case distrutte, scacciata verso i campi profughi di Tripoli l’anno scorso -  dove è finita? L’ultima notizia attendibile di cui dispongo è questa: I reporters andati a  Tripoli hanno trovato i campi vuoti, con una sola persona  a guardia di un mucchio di rottami di ferro che ha detto: Sono andati. Andati in Niger. Altra gente delle vicinanze ha raccontato che se  sono andati quando le milizie di Misurata sono arrivate per scacciarle  anche da lì.
Sulle rovine di quella che era la  città di Tawarga ora spicca un cartello: Nuova Misurata.

Gli sfollati Tuareg mandano  al  Ministero della salute richieste di forniture mediche e di personale qualificato perchè i piccoli centri medici non possono far fronte al picco di gastroenteriti e colpi di sole per le temperature torride.  Gli sfollati dell’est, presso  Daraj, mancano di tutto, anche della possibilità di fruire delle comunicazioni  telefoniche; sono Tuareg fuggiti da Ghadames durante gli scontri dell’anno scorso e quelli recenti di maggio. Milizie armate controllano questa  città (patrimonio dell’Umanità)  sul confine algerino e non è difficile dedurre trattarsi di criminali che commerciano in  armi e sono affiliati ad Al Qaeda.

Anche  Tripoli è lontana da un accettabile livello di sicurezza: un pilota della linea aerea AlBuraq rapito in aeroporto, è stato rinvenuto torturato e ucciso. Lo spaccio della droga è un commercio florido che la polizia affronta armi alla mano, con scontri che causano morti quanto la guerra fra le famiglie che si contendono il primato, soprattutto nel grande mercato cittadino di Dahra.
Nel giorno  sacro per un paese islamico, l’Eid, Tripoli è stata svegliata dall’esplosione sincronizzata di autobombe in varie zone fra le quali la centralissima avenue Omar al Muktar; si contano almeno due morti, oltre ai feriti.

Come spiegare gli attacchi alla Croce Rossa Internazionale se non con il disordine  emotivo di una sindrome post traumatica?
“La nostra sede è stata ripetutamente attaccata a  colpi di armi pesanti da un gruppo di cui non si conosce l’identità. La sicurezza del nostro staff è per noi una priorità” dichiara il responsabile dell’ICRC Ishfaq Muhamad Khan annunciando la sospensione delle attività dopo aver subito, a Bengasi e Tripoli, cinque attacchi in tre mesi.

C’è una percezione sbagliata di quello che rappresenta il nostro logo . La croce rossa è talvolta erroneamente scambiata per un’organizzazione cristiana. Abbiamo bisogno di spiegare che gli emblemi della Croce Rossa Internazionale e della Mezzaluna Rossa non hanno alcun significato religioso.”

Sta emergendo un bigottismo rimasto sotterraneo nell’era politica di Gheddafi ,  ma egualmente  il  nuovo Gran Mufti della Libia non si sente al sicuro dalle abiure e il verificarsi di qualche caso lo ha indotto a mettere in guardia il paese  dalla tentazione di convertirsi al Cristianesimo o alla corrente islamica Scita.

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Sono questi alcuni episodi recenti che considero rappresentativi – non assimilabili agli episodi di criminalità comune che avvengono in Libia come in ogni altra parte del mondo. Questi episodi nascono da una diffusa sensazione di onnipotenza per aver “vinto” il dittatore e contemporaneamente dallo sconcerto nel constatare che questa vittoria non sta facendo piovere dinari sulle famiglie, e che l’unico vantaggio percepibile  è dileggiare impunemente quei Gheddafi che un anno fa molti ancora celebravano.
I messaggi che piovono sulla popolazione sono massimamente ansiogeni: assassinii politici, che colpiscono il governo e gli ufficiali dell’esercito,  attacchi alle sedi diplomatiche straniere, al personale delle ONG,  per le strade miliziani che risolvono le dispute con i micidiali  AK-47, all’occorrenza utili per minacciare i giornalisti.

Di tutto questo, dichiarano le autorità, sono responsabili i gheddafiani che tramano contro le Istituzioni.
Fanno eco ignoti pro-Gheddafi in armi che minacciano una controrivoluzione. Dichiarazioni pretestuose le prime – per nascondere le lotte fra milizie e l’industria dei rapimenti – inattendibili le seconde.
Ma la capacità di gheddafiani armati di creare episodi di guerriglia  fa sì che il controllo di polizia voluto dal Governo sia ferreo.
Ai giornalisti non è  permesso recarsi sulla scena degli attentati e le notizie riportano solamente le versioni diffuse dal Ministero.
Il passato ritorna, quando non lo si è compreso.

a seguire: Libia 2012: le Istituzioni


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