A poco meno di un anno dalla deposizione di Gheddafi, la situazione politico-istituzionale in Libia è in fase di stallo. Dopo l’eliminazione del ra’is le rivendicazioni territoriali da parte delle regioni rendono la situazione densa di incertezze.
1. Il quadro costituzionale e la questione della Cirenaica
Il Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi, formato da giuristi, intellettuali ed esponenti tribali, ha elaborato, fin dalle prime fasi della guerra, un nuova Carta Costituzionale che dovrebbe assicurare al Paese la transizione verso la democrazia. Si tratta di una Costituzione leggera, di soli 15 articoli, che esordisce sottolineando che la Libia è indivisibile e che la sua capitale è Tripoli. Si tratta di un’importante affermazione in quanto chiarisce in via definitiva che l’eventuale separazione tra Cirenaica e Tripolitania non è un’opzione che il fronte dei ribelli intende prendere in considerazione. Gli eventi successivi alla fine del regime dimostrano però che il sentimento di unità nazionale è ancora molto fragile e che il regionalismo rischia di riemergere.
La richiesta di autonomia della Cirenaica, regione che possiede circa il 60% delle risorse petrolifere del paese, avanzata in marzo era ampiamente prevedibile. Seppur non maggioritario, nella regione di Bengasi un sentimento di autonomia è sempre stato presente grazie ai membri della Senusiyya1, spesso alimentato dalla rivalità con la regione dominante e più sviluppata, la Tripolitania. A farsene portavoce è stato il “Congresso del popolo della Cirenaica”, gruppo formato da diversi capi locali, imprenditori e, più in generale, persone insoddisfatte della gestione del CNT nel dopo Gheddafi. L’elemento rilevante è che, per la prima volta, un gruppo non ha rivendicato una partecipazione al potere presso l’autorità centrale, ma ha chiesto un’ampia autonomia all’interno di uno Stato federale, a cominciare dalla gestione delle risorse energetiche2.
Mentre l’analisi dell’insieme degli articoli della Costituzione interinale lascia intravedere uno sforzo di elaborazione di fondamenti democratici di tipo occidentale (vengono garantiti il diritto di proprietà, le libertà associative, la libertà di stampa, l’indipendenza della magistratura), due elementi debbono essere segnalati per comprendere il potenziale profilo della nuova Libia. Il primo è dato dall’enfasi con la quale l’Islam è proclamato religione di Stato e la Shari’a viene indicata come fonte della legislazione: si tratta di un elemento che lascia intravedere la possibilità di una nuova Libia più islamizzata rispetto alla precedente3. Il secondo elemento meritevole di attenzione è desumibile dall’articolo 4 che, oltre a testimoniare l’impronta riformista moderata dei nuovi costituenti (“Lo Stato garantisce eguali opportunità per tutti i cittadini, il diritto al lavoro”), sottolinea l’esigenza di garantire l’equa distribuzione della ricchezza nazionale “tra i cittadini e tra le diverse città e regioni dello Stato”4.
2. L’autorità centrale
Il CNT, prontamente costituitosi il 2 marzo 2011 pochi giorni dopo l’avvio della rivolta in Cirenaica e altrettanto velocemente riconosciuto da diverse potenze straniere come Francia, Qatar, Italia, Turchia e molti altri, si pose in quei mesi come la nuova autorità legittima in Libia. L’intervento delle potenze esterne a suo sostegno e in aiuto ai ribelli, grazie al supporto logistico, al finanziamento e all’azione militare della NATO, hanno notevolmente contribuito a rafforzare la percezione di indispensabilità del CNT come referente politico. Tuttavia alla forte legittimità esterna del Consiglio Nazionale non è corrisposta una altrettanto forte legittimità interna. Le sfide dell’autorità centrale appaiono ruotare attorno alla capacità di trovare una sintesi tra le varie componenti di potere nel paese: tecnocrati, islamici di varie correnti, liberali, cirenaici, tripolini, berberi, rappresentanti di varie città. Ma la principale sfida resta quella legata al disarmo delle milizie: il CNT si trova costretto continuamente a trattare con esse da una posizione di debolezza. Un ulteriore elemento di incertezza nel rapporto periferia/centro è determinato dalle elezioni dei consigli locali, dopo che nel mese di febbraio si sono svolte nella città di Misurata. L’esercizio democratico svoltosi nelle città prima che, a giugno, a livello nazionale, rischia da una parte di legittimare i governi locali più di quanto sia legittimata l’autorità centrale, dall’altra tuttavia può offrire l’opportunità al governo provvisorio e al CNT di accompagnare, sorreggere e poi istituzionalizzare le consultazioni che vengono spontaneamente decise dalle comunità locali5.
3. I partiti politici
Fin dal 1970 Gheddafi aveva proibito la formazione di partiti politici nel paese, sciogliendo definitivamente nel 1972 ogni organizzazione politica che non fosse riconducibile prima all’Unione Araba Socialista Libica, poi ai congressi popolari della Jamahiriya. In clandestinità o all’estero sono sopravvissuti per anni gruppi politici di opposizione al regime; in particolare, all’interno del paese, la Fratellanza Musulmana, attiva soprattutto in Cirenaica, e all’estero diversi gruppi negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Svizzera, tra i quali il più attivo è stato il Fronte Nazionale per la Salvezza della Libia. Il quadro altamente frammentato dello scenario politico è facilitato da due fattori. Il primo è costituito da una storica mancanza di familiarità da parte della società libica con i più basilari strumenti della democrazia. Il secondo è dato dalla pressoché totale assenza di leggi che regolino il processo di formazione di nuovi partiti. In vista delle elezioni di giugno, queste condizioni stanno portando ogni singola fazione e gruppo di potere nel paese a costituirsi come partito e gruppo politico.
La Fratellanza Musulmana, diversamente dai paesi coinvolti nella Primavera Araba, appare divisa al suo interno: infatti all’inizio di marzo annuncia a Tripoli la creazione del partito “Giustizia e Sviluppo”, con chiari riferimenti ai partiti islamici moderati di Turchia ed Egitto. Al momento attuale i gruppi legati all’Islam più radicale come i Salafiti sembrano essersi organizzati solamente a livello locale, senza la formazione di un partito nazionale unico. Oltre alle forze politiche cha fanno riferimento all’Islam, sono sorti altri numerosi partiti di matrice più liberale. Uno tra i più rilevanti è il “Partito Democratico Libico”, fondato pochi giorni dopo lo scoppio della rivolta. La frantumazione politica non viene disincentivata dal sistema elettorale per l’Assemblea Generale, predisposto dal CNT, basato su un sistema misto: dei 200 seggi complessivi, 120 saranno assegnati secondo un sistema maggioritario in cui correranno candidati indipendenti dai partiti, mentre solamente 80 seggi saranno assegnati con il sistema proporzionale basato su liste partitiche in cui vi dovranno essere alternativamente candidati di sesso maschile e femminile6.
4. Le prime Elezioni in Libia
Le prime elezioni libere nella storia della Libia sono state vinte, almeno per quanto riguarda gli 80 seggi su 200 da ripartire tra i partiti, dalla coalizione guidata da Mahmoud Jibril, ex capo dell’ufficio per lo Sviluppo economico nazionale fino all’inizio del 2011 e, dopo lo scoppio della rivolta, primo ministro ad interim dal 23 marzo al 23 ottobre 2011. Un funzionario di Stato, dunque, che faceva parte della cosiddetta casta dei tecnocrati che negli ultimi anni ha dettato legge in Libia.
Conclusioni
La situazione di incertezza, derivante dalle questioni precedentemente analizzate come il problema della sicurezza interna e dalla fragile legittimità del CNT, poteva far pronosticare che la Libia avrebbe potuto correre il rischio di una totale disgregazione. Quali sono, dunque, i fattori che non hanno portato la Libia ad una situazione di caos? La mancata disgregazione del paese si spiega grazie all’appoggio internazionale donato al CNT da parte della comunità internazionale. La legittimità dell’organo di governo, infatti, posa sulla politica estera di Gran Bretagna, Francia e USA che hanno cercato, fin dai primi giorni di rivolta, di operare un Regime Change in Libia. Infatti sembra che la preparazione delle operazioni di State Bulding siano state più accurate delle operazioni di guerra condotte sul territorio: i ribelli si donano fin da subito un comando responsabile, recuperano la vecchia bandiera della Libia, arrivano i riconoscimenti al neonato CNT e si organizzano dei summit su come gestire la rivolta nel paese e sul futuro delle risorse libiche del dopo Gheddafi. Rispetto alle altre rivoluzioni del Nord Africa il caso libico si colloca nel novero delle “Rivoluzioni Colorate” volute per decentralizzare il potere delle risorse energetiche e per controllare quel “Grande Mare Nostro” che un tempo conteneva pacificamente le due più grandi civiltà della storia.