Pubblicato da Bernard Lugan 27 Nov 2011 su realpolitik.tv
Traduzione di Giuseppe Germinario, con l’autorizzazione dell’autore
In Libia la guerra dei clan si svolge ormai in campo aperto in Tripolitania, dove cinque grandi forze sono presenti a Sirte, a Misurata, a Bani Walid, nel Jebel Nefusa, a Zenten e Tripoli:
- Le tribù della regione della Sirte hanno interrotto i combattimenti schiacciati dalle bombe della NATO, ma sono rimaste fedeli. Ora che l’aviazione occidentale è ritornata alle sue basi, alcuni sono pronti a riprendere la lotta contro il CNT.
- Le milizie di Misurata, quelle che hanno catturato e linciato il colonnello Gheddafi, rifiutano qualsiasi altra autorità diversa dai loro leader. Tutti i componenti della Tripolitania, tra cui gli islamisti di Tripoli, li odiano.
- A sud di Misurata, intorno a Bani Walid, la frazione della Tripolitania della tribù dei Warfalla, circa 500 000 membri, rimane sempre fedele al vecchio regime.
- Nella regione di Tripoli, i combattimenti tra le due milizie berbere del Gebel Nefusa e di Zenten da una parte e gli islamisti del Consiglio Militare di Tripoli (TMC) dall’altra, hanno registrato una accelerazione negli ultimi giorni.
Un evento della massima importanza si è verificato il 25 novembre scorso con l’arresto all’aeroporto di Tripoli di Abelhakim Belhaj, il capo del TMC, mentre sotto falsa identità, ha cercato di partire in missione in Turchia. L’arresto, da parte delle brigate di Zenten, di questo vecchio fondamentalista combattente in Afghanistan, sostenuto dal Qatar, segna un punto di svolta nell’evoluzione della guerra in Libia. Perché questa partenza rocambolesca? Si è sentito minacciato e ha preso il volo? E’ andato in missione segreta in Turchia? L’arresto segna l’inizio del rifiuto della onnipresenza opprimente delle forze e degli agenti del Qatar; molti libici si chiedono se il loro paese non sia diventato una colonia del questo emirato ricchissimo, ma scarsamente popolato il cui esercito è composto da mercenari?
Abelhakim Belhaj è stato rilasciato grazie ad un appello dal presidente del CNT, Mustafa Abdul Jalil.
Il problema di fondo che gli osservatori ancora una volta non hanno visto e che alcuni vogliono ancora una volta riprendere, naturalmente senza citarmi, pur avendo letto la mia dichiarazione, è che i berberi hanno deciso di giocare la loro carta. Gran perdenti – come dicevo – nella nuova situazione politica, si trovano infatti, come prima della caduta del regime di Gheddafi, di fronte a un nazionalismo arabo-musulmano che nega la loro esistenza. Nessun ministro del nuovo governo è berbero, mentre le loro due brigate hanno costituito gli unici elementi militari operativi della ribellione. Di fronte a questa situazione, il 25 novembre, la Conferenza dei libici di Amazigh (berbero) ha sospeso le relazioni con il CNT.
Militarmente, i Berberi sembrano avere preso il controllo di una parte della città di Tripoli, compreso l’aeroporto. Altro vantaggio, sono titolari della detenzione di Seif al-Islam Gheddafi da loro trattato con riguardo e anche con rispetto. Un tale atteggiamento non è insignificante perché è in contrasto con il trattamento ignominioso inferto a suo padre da parte della milizia Misurata e per il quale molti libici hanno giurato vendetta.
Se il governo attuale non è soddisfacente per i berberi i quali costituiscono circa il 10% dei 6 milioni di libici, un’alleanza rivolta sia contro il CNT che contro Misurata e che includa le loro milizie, la frazione di Tripoli dei Warfalla e le tribù della regione di Sirte, potrebbe arrivare a costituirsi. Senza colpo ferire arriverebbe a impadronirsi della Tripolitania, essendo Misurata l’unica in grado di resistere temporaneamente. Per non parlare del Sud, dove i Tuareg e i Tubu sono rimasti fedeli alle loro alleanze passate.
Per quanto riguarda la Cirenaica è ormai sotto il diretto controllo degli islamisti; di fatto è sfuggita alle autorità di Tripoli.