Libia und liebe.

Da Suster
Ecco come rinominerei questo blog, forse, se mi dovessi un giorno trasferire il Libia, senza mutarne, in un certo senso, lo spirito minchione.
Era solo un'ipotesi scevra da reali basi, eh!
Ma visto che sta approssimandosi la nostra preannunciata e controversa partenza per quei lidi, pensavo di poter temporaneamente assumere questa dicitura, nel congedarmi, nuovamente, da voi.
Detesto quando i saluti si protraggono oltre il segno della decenza.
Quando dopo accorati discorsi e addii il treno non si decide a lasciare la stazione e tu stai lì, al finestrino, come una scema, a fissare quelli che, sulla banchina, hanno smesso da un pezzo di farti ciao con la mano e aspettano imbarazzati il momento di potersene tornare alle faccende di loro ordinaria amministrazione, archiviata la cartella "saluti".
Ma è così che va, quasi sempre.
Dopo avervi reso partecipi (in parte) delle mie tribolazioni, siamo infine giunti al punto.
Per fortuna, recita la pubblicità, che c'è l'Unità di Crisi della Farnesina, ma nel mio caso, per fortuna che ho un fratello che sa sempre indicarmi quale sia la mossa giusta da fare.
Per fortuna che c'è l'Unità di Crisi della Farnesina, e Ergino!
Tranquillizzatami sul fronte disordini, mi sono messa in contatto telefonicamente anche con l'ambasciata italiana a Tripoli, alla modica cifra di 20 €, ma non ne rimpiango un centesimo.
Non volendo aggiungere altro sul viaggio che stiamo per intraprendere, il mio pensiero va all'altro mio viaggio, all'altra Libia che conobbi, di cui da tempo avrei voluto parlare qua.
Non l'ho mai fatto, con rammarico me ne accorgo ora, che aspettare ancora significherebbe non poterlo fare più.
Ma per evitare che i ricordi vecchi vengano spazzati via e resi vani da quelli nuovi, vorrei, come ultimo atto di congedo, lasciarvene qui una traccia.
Traccia del nostro lungo viaggio, da una parte all'altra del vastissimo Paese, in più tappe, cambiando spesso modalità e mezzo di locomozione, cambiando idea, cambiando programma, sprovveduti e incauti, senza reale consapevolezza di ciò che avremmo incontrato, non è stato facile. Non è stato proprio come ce lo figuravamo in partenza.
Ma forse anche meglio.
Fotografie scannerizzate, dalla mia vecchia reflex analogica mi aiutano a focalizzare momenti.
La nostra tenda piantata in mezzo al nulla, sulla costa del golfo di Sirt, la terra rossa, lo stato d'animo baldanzoso e spaccone dei primi giorni. L'eteronazionalità del nostro gruppo, la sensazione di avere infinito spazio e tempo da gestire davanti a noi, che presto sarebbe stata frustrata dalla realtà, dai controlli multipli e tignosi, dai fermi, dalle multe, dalle tabelle di marcia insostenibili, dal ritrovarci a vagare per lande semidesertiche senza sapere dove fermarci né dove arrivare, e in fondo, nel profondo est, fare dietro front e ripercorrere a ritroso gli 800 km macinati per tornare a riveder le stelle...



Il ricordo di quell'anziano guardiano che a Qasar Libia ci accolse con un té prima di condurci nelle viscere di un passato che non avresti immaginato così tangibile, disperso in quella landa di nulla,  un'antichità che ci regala brandelli della sua arte, testimone della decadenza imminente del classico, ma anche della vitalità contaminata e innovativa tipica delle zone di provincia...
.
Gli incantevoli profili delle sue città archeologiche, Shahat (l'antica Cirene) declinante verso il mare, erme decapitate dai secoli, piazzate lì, in mezzo al paesaggio incolto di rovine e sterpaglie, senza più ragione di essere.

 E poi il nostro affascinante incontro con la berbera Kabaw, e i suoi granai-fortezza, il ragazzo che ci ospitò a casa sua senza sapere chi fossimo, che ci parlò la lingua berbera e che ci fece conoscere il dolore di chi è privato della libertà di esprimere la propria cultura in casa propria.
Ricordi anche assai meno poetici, dell'intossicazione che ci provocò quell'andata on the road a base di kbab e shaorma piccanti, e le conseguenze nefaste per i gabinetti del nostro ospite...





Ah: le foto in bianco-nero non sono un vezzo da fotografa esperta. sbagliai solo ad acquistare i rullini allo spaccio. Ecco perchè costavano tanto poco...
Devo dire che il risultato di tale errore non mi spiacque affatto (anche se non saprete mai il colore dei granai di Kabaw).
...o del teatro di Leptis Magna!

Scoprire tesori insperati sepolti tra chilometri quadrati di deserto: il perpetuarsi di tradizioni, la padronanza della tecnica, la cultura nelle mani, il lavoro incessante, in piena estate per l'inverno che verrà, altri ritmi da quelli che conoscevamo noi, la bellezza dell'età annidata tra i solchi di una fisionomia...

Il mercato di Tripoli e i suoi colori, la sua sovrabbondanza, i suoi odori, ovunque.



E infine l'immenso deserto, che noi chiamiamo Sahara, senza sapere che in realtà lo stiamo chiamando semplicemente Deserto...


Del deserto ricordo la sensazione di infinito, di libertà mai provata prima, di pace, di paura, quando lo scrutavi di notte, cercando la linea dell'orizzonte e vedevi solo buio, infinito di fronte a te, un po' come quando, di notte, guardi il mare, dal traghetto, e capisci di non essere niente.
E il cielo stellato, sopra, come non lo avrei mai più visto, in nessun altro luogo, immenso, anche lui, profondo, parlante quasi.
Impossessarci dello spazio, e sapere che non l'avremmo mai posseduto tutto, le sagome dei tuoi amici perse nella vastità di un orizzonte ininterrotto.



Wadi Matkandush. L'emozione di trovare anche qui, tracce del passaggio di civiltà remote, remotissime, di cui forse non avevi mai sentito parlare, ma capaci di concepire l'arte.


L'abbandono rovinoso della città fantasma Germa, edificata col fango, un tempo avamposto di una potente civiltà nomade, la stessa per la quale la presunzione romana dovette arretrare, barricandosi dietro l'alibi "Hic sunt leones".
Dai Garamanti, all'idiozia del colonialismo italico, di cui rimane qui traccia beffarda, di una cava in mezzo al deserto, presto abbandonata: risorse irrisorie, che non valsero certo le ragioni di un'invasione militare. I pozzi di petrolio avevano ancora da venire...

E infine la meraviglia delle oasi.

...prima del ritorno alla civiltà.
Allora sapevo che non avrei più avuto tante occasioni per vedere ancora un cammello su un pick-up...
La foto ci stava!

Qui eravamo a Tawarga, una delle ultime tappe di una vacanza agli sgoccioli, intensa, irripetibile.
Chissà cosa ci aspetta, ora.

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :