Libri di origine precaria

Creato il 14 maggio 2011 da Pupidizuccaro

di Andrea Coccia

Il torpore del Salone (del libro di Torino 2011, n.d.r.) si è rotto improvvisamente verso l’ora di pranzo, quando allo stand di Rcs, la Rete dei Redattori Precari ha attaccato pacificamente l’establishment appiccicando post-it e denunciando la grave situazione in cui versa il mondo dell’editoria italiana, il cui male invisibile si chiama Precariato.

In questi anni di crisi, sia del settore editoriale, sia, più in generale, del mondo del lavoro, questo male invisibile – invisibile in primis a causa della cecità del mondo dell’informazione – si è diffuso come un cancro, ammorbando l’intera filiera del libro e concentrandosi nelle redazioni più prestigiose.

Rizzoli, Mondadori, Adelphi, Piemme, DeAgostini Scuola: queste sono solo alcune delle realtà coinvolte da questa strategia di sfruttamento che ha trasformato una intera generazione di professionisti dell’editoria – redattori, correttori, addetti stampa, impaginatori, traduttori, copy, ricercatori iconografici, addirittura caporedattori di collana – in schiavi legalizzati che vivono il cocente, frustrante paradosso di avere le qualifiche e i conseguenti doveri del Professionista e, insieme, di vedere negati i diritti minimi del Lavoratore.

Pagamenti a cottimo, partite IVA obbligate, mancanza assoluta di tutela, assenza di ferie, pagamenti ben più bassi dei minimi sindacali, sono solo alcuni dei diritti negati. Ma la questione più drammatica è il silenzio che avvolge queste centinaia, forse di migliaia di persone, in realtà più simili a fantasmi, tutti altamente qualificati, con spesso diversi lustri di esperienza alle spalle, ma costretti a subire gli effetti devastanti dell’incertezza e della precarietà sulle proprie vite.

Oggi, al Salone, questo mondo sommerso è uscito all’improvviso dall’ombra, celando dietro volti allegri e sorridenti il proprio trauma straziante. Come vedrete dalle foto, la protesta, assolutamente pacifica, occorre ribadirlo, ha invaso lo stand di Rcs di piccoli postit che portavano inciso una sorta di marchio dell’infamia, quel DOP che per i prodotti italiani significa di Origine Protetta, ma che in questo caso si ribalta in Origine Precaria.

L’unico dato parzialmente negativo è stato l’atteggiamento del pubblico – per non parlare dei lavoratori dello stand, probabilmente precari anch’essi – che ha dato l’impressione di essere un po’ stordito, come se avesse socchiuso gli occhi dopo un letargo, come se la dinamica del precariato fosse completamente estranea alle loro vite, come se non sapessero che molti dei libri che comprano a chili qui al salone sono prodotti in questo modo, come se non sapessero che i loro figli, i loro nipoti o i loro fratelli e sorelle maggiori in questa palude in putrefazione ci annaspano da anni.

Insomma, come se non avessero un reale contatto con la realtà, cosa che è drammaticamente vera.

(l’articolo è apparso oggi in booksblog)


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