Ma ammettiamo di avere davanti un professore motivato e "progressista": la tentazione di mettere "il pilota automatico" (cosa che senz'altro agevola), diciamo così, è molto forte, anche perché consente di dedicare il proprio impegno ad altre attività scolastiche, ma si scontra con la normale esigenza di libertà nel gestire il lavoro e nello stabilire un percorso culturale (esigenza legittima quant'altre mai, questa che prevede il senso di una padronanza della disciplina nel suo insieme, che si basa su una sua precisa articolazione). Inoltre è vero che libertà didattica significa maggiore agio nel governare la classe e nel seguire i singoli alunni, ciascuno con le sue esigenze di crescita. Personalizzare la didattica, ovvero orientarla agli alunni e alle classi, è uno dei privilegi e degli scogli della nostra professione e sembra a molti che solo una libertà "assoluta" - perfino dagli strumenti di lavoro - ce lo consenta. Come si fa a recuperare uno studente (e siamo molto ottimisti) che non segue il tracciato didattico se poi verifiche e schede di approfondimento sono tarate su quel materiale?
In realtà non è così difficile, è solo molto più laborioso (specie al primo anno in cui si cambia metodo): i percorsi preordinati, checché ne pensi l'utenza media, richiedono un impegno di gran lunga maggiore al docente che voglia fare il suo lavoro, per creare quel tessuto connettivo sempre elastico che lasci spazio a tutti e non tradisca nessuno. Ora, si consideri che, dopo altre mode, oggi perfino i libri di storia letteraria sono strutturati come "corsi" e pensiamo un po' come è cambiata la professione insegnante negli ultimi anni. L'idea è che non si può, in questo caso, navigare a vista e con arbitrarietà per intrinseca natura del "libro di corso", ma bisogna sempre aver presente un punto di partenza e un punto di arrivo che, in entrambi i casi, stentiamo a far nostri, perché sono preordinati dal libro di corso secondo criteri didattici suoi propri. Dunque, non nell'obliterazione della fantasia sta il problema dei libri di corso che, negli ultimi due decenni, hanno progressivamente soppiantato il buon vecchio libro di testo a carattere più o meno enciclopedico, quale strumento di consultazione. (Si noti, tra l'altro, che l'ampio apparato di indici prima desueti in questo genere di libri e un lavoro continuo sul loro utilizzo rende fruibilissimo ogni manuale ben fatto.)
Sono dunque altri i problemi che ci dobbiamo porre, uscendo dalle strettoie dell'ora scolastica, in merito all'utilizzo del libro di corso invece di un libro di testo. Intanto, vorrei che ci interrogassimo proprio sull'esigenza enciclopedica che ancora ci tenta. Non solo nel valutare la "bontà" di un professore in sé (quanto sa?, quante "voci" possiede?), bensì anche: quanto deve insegnare agli alunni? quanti e quali sono i link tra una voce e le altre? (ovvero: quanto è eleastico nel suo sapere? è monotematico o ha una solida "cultura generale"?). La conoscenza scolastica, in sé, come si deve intendere? Come contenuto di un database a fondo perduto, come un software più o meno compatibile o come un'app scaricabile (sul modello delle competenze più complesse nella trilogia di Matrix, tipo guidare un dato tipo di elicottero). E in ognuno di questi casi qual è, esattamente, il ruolo del professore? Mirror, provider, server o cos'altro? Credo che la scelta del libro di corso dipenda proprio dall'idea che si ha del professore che fa il suo lavoro e che il professore che fa il suo lavoro ha di sé.
Il problema non è, qui, tornare al libro di testo vs. libro di corso, grazie al cielo esistono manuali ottimi di ogni disciplina, professori molto in gamba e libertà didattica e su queste basi si può garantire la conoscenza migliore delle discipline a tutti gli alunni. Il problema sta semmai nel tornare a una scuola che sia scuola, non a un reference book e non a un coacervo di reference people (il corpo docente), bensì un per-corso che sia tappa p-referenziale per tutti. Un percorso, si aggiunga qui, nel quale l'idea di togliere un anno di scuola per qualsiasi motivo - mantenendo invariato o addirittura riducendo il monte ore complessivo, e dunque ignorando la necessità del tempo e della collaborazione guidata per il maturare dei contenuti e soprattutto delle persone - è molto più che leggerezza. Lo sottolineo qui, perché i contenuti di un corso si possono sintetizzare, stropicciare per farli entrare in uno spazio più ristretto, o in alternativa si può forzare l'utenza a uno sforzo maggiore nel tempo per apprendere tutto quanto sia necessario; l'ambizione della scuola ha invece bisogno del massimo sostegno da parte di tutta la comunità perché il momento in cui si conosce - e le ragioni per le quali si accede alla conoscenza - siano il momento centrale del nostro essere comunità orientata al futuro e al mondo.