Un argomento
In questi giorni se ne sta parlando parecchio a causa dell' uscita della circolare sulle adozioni per l'anno scolastico 2015-16, le cui peculiarità, si sa da tempo, sono la possibilità di adottare materiali alternativi ai libri di testo e permettere alle scuole di elaborare autonomamente materiali da utilizzare come libri di testo.
Riprendo a questo proposito alcune riflessioni esposte in un post del blog dedicato al mio libro, declinandole in maniera più estesa. Tre sono in sostanza le questioni di cui vorrei parlare con gli insegnanti:
- Il ruolo del manuale scolastico è ancora centrale? Cosa dovrebbe avere o non avere un manuale adeguato alle attuali esigenze? Quanta parte dovrebbe essere lineare - e quindi cartacea - e quanta estesa - e quindi digitale? E su quali presupposti, con quali modalità?
- Quanto è realisticamente pensabile che gli insegnanti elaborino materiali didattici autonomamente? E anche in caso lo facciano, con quali le garanzie qualitative e soprattutto con quale ritorno in termini concreti di un lavoro che, se fatto bene, prende molto tempo e molte energie?
- Dove l'editore può intervenire non solo e non tanto per arginare una possibile emorragia in termini di eventuali mancate adozioni, ma anche per trasformare il suo ruolo da erogatore di prodotti in fornitore di servizi, mettendo quindi a disposizione la sua esperienza e le sue professionalità per coadiuvare gli insegnanti in questo compito?
Ad alcune di queste domande già si stanno dando risposte, più o meno aperte. Un articolo di Mario Maviglia su La Vita Scolastica sostiene che "è sbagliato valutare un libro di testo in base a un criterio quantitativo, ossia in relazione a quante informazioni dà o a quanti esercizi propone" e introduce una riflessione su come conciliare le esigenze dell'insegnante con i materiali a disposizione.
Decisamente più critico è Roberto Maragliano, che titola un suo recente post Interrogativi sul manuale e la sua attualità scolastica, in cui afferma senza mezzi termini che "Pensare e far pensare che la conoscenza sia producibile e riproducibile in forma di manuale significa, io credo, toglierle ogni istanza di problematicità, significa appiattirla". Non a caso rimanda a un suo precedente articolo La non saggezza del manuale ribadendo, se mai ce ne fosse bisogno, quanto già dichiarato con forza in quell'intervento: "Occore purrntare seriamente e massicciamente sul web. Perché la rete crea scompiglio, confusione, disorientamento. E dunque impedisce che ci si adagi sulla prospettiva, del tutto falsa, di un sapere pacato, pacificato e pacificante. Il sapere, se è sapere vero, è movimento, dinamica, dialogo, scontro/incontro di prospettive. "
Ma la cosa, ripeto, più innovativa, a mio parere, è stato questo lavorare in rete, creando un tessuto connettivo in cui scuola-famiglia-preside-insegnanti-studenti si sono confrontati in modo collaborativo, elaborando strategie e soluzioni condivise. Chi mi conosce, o segue ciò che scrivo, sa che questa è secondo me uno dei primi mattoncini Lego per edificare le cosiddette classi 2.0.
Voi cosa ne pensate?