La trama. Questo romanzo breve è scritto interamente come monologo del protagonista, un lungo discorso nel quale racconta la sua vita a un interlocutore estraneo, non amico, non conoscente, ma solo una ipotetica presenza che regge tutta la narrazione ed in cui è facile, per il lettore, immedesimarsi. E’ quasi una parabola di vita umana, un intero cursus dell’autocoscienza di un uomo: il protagonista, un celebre avvocato parigino, parte da una gaia serenità, una gioia autocompiaciuta nell’esser buono e altruista, un’appagamento del sé che sconfina gravemente nell’orgoglio smisurato e nella fatua vanità; poi, lungo un percorso fatto di accorati richiami della sua coscienza (identificati in spettrali risate e fugaci presenze nella sua mente), ecco che l’uomo arriva a detestarsi, a biasimare il suo orgoglio in primis, ma anche la sua cecità di fronte alla vita, ai dolori, in una presa di posizione che è affossata dal senso di colpa, unica vera costante della vita, ma anche unico mezzo che, partendo dalla propria colpa, permette una generalizzazione che abbraccia l’intera umanità.
La voce narrante vorrebbe sempre essere in alto, non solo spiritualmente, ma anche nella concreta fisicità: ma sarà la mancanza di elevatezza nell’anima che infine lo spaeserà, e gli imporrà una nuova vita. Quest’opera, attraversata da un malinconico senso di disfatta morale, trova nel finale un simbolo di reazione umana sconfortato e passivo: un tono dimesso che abbraccia l’intero volume, che rende merito alla peculiarità di quest’opera nella produzione letteraria di Camus, premio Nobel per la letteratura.
Giudizio.