La trama. Maigret, ormai in pensione, si lascia convincere a partire per l’America, riunciando alle partite a carte con gli amici e alla casetta di Meung-sur-Loire “odorosa di frutta e di buon brasato”. Sembra contraddittorio, eppure il navigato investigatiore ci casca e parte quando ormai è già carico di rimpianti. Lo attenderà un’indagine anomala, arrovellata in un mondo in cui tutto gli apparirà ostile: grattacieli e luci sfavillanti, ma anche miserie e luoghi ameni, grigi come il cielo che li sovrasta. Vi sono strade in cui la miseria cancella ogni traccia di umanità e nella narrazione, l’emblema del progresso pare essere il “fonografo automatico”, mezzo di trasmissione di musica da quattro soldi capace di rendere milioni di dollari. La musica è forse il tema che sottende l’intera vicenda, come un delicato sottofondo mai stonato.
Giudizio. La vicenda è narrata in modo asciutto e sobrio. I fatti hanno l’incedere del celebre investigatore, lenti ma non troppo, avvincenti ma misurati. I personaggi sono educati ma astuti, perspicaci e spesso tristi, tendenti alla malinconia, talvolta paranoici, attaccati come francobolli a uno sfonfo di pessimismo urbano che non smette di gocciolare addosso alle dita del lettore, mentre sfoglia le pagine di un libro che rilassa e insegna agli aspiranti scrittori come si dovrebbe scrivere, nella piena consapevolezza che semplicità e brillantezza possono divinamente camminare a braccetto. Consigliato.
MaLo