Un'altro elemento si aggiunge alla bella collezione dei libri, sempre ricercati e mai banali, proposti da Il Canneto Editore. Questa volta si tratta di un piccolo libro, I Migranti, un centinaio di pagine in tutto, scritto dal marocchino Youssouf Amine Elalamy nel 2000 e che, grazie alla casa editrice ligure, viene tradotto per la prima volta dal francese (il titolo originale è Les clandestins) nel 2015.
E' un libro non facile e non per questo meno interessante. Titolo e copertina non lasciano dubbi sul tema, che resta ancorato all'atto del migrare, attraverso il mare, dall'Africa del nord verso l'Europa. Un viaggio di miseria e di speranza, tra il reale e l'immaginario. E' un omaggio, sincero e sentito, a quella marea umana che ha lasciato (e continua a farlo) le coste dell'Africa, per fuggire verso l'ignoto ed ha trovato la morte. Numeri impressionanti, oltre 3500 persone solo nel 2015, sono quelle che hanno lasciato la loro vita nel Mediterraneo, in quella che le Nazioni Unite definiscono "la strada più mortale del mondo". Donne, bambini, giovani e anziani, senza alcuna distinzione.Il racconto di Elalamy, che si intreccia tra le poetiche di un racconto che talora scivola nella fiaba, la sceneggiatura di un film mai girato e quella di un'opera teatrale in continuo movimento, ci conduce tra un immaginario gruppo di 13 persone (in realtà 14 perché l'unica donna del gruppo porta nel suo grembo il figlio che mai nascerà) che vengono ritrovati, sulla spiaggia "tutti annegati" e con le facce immerse nella sabbia.
Momo, Luafi, Jaffa, Abdu, Mulay Abslam, Anuar, Sliman, Sharaf, Salah, Abid, Ridwan, Zuheir e Shama, sono gli immaginari nomi (ma assolutamente sovrapponibili ai moltissimi reali) di "quei corpi trasformati in immagini, che non smetteranno di morire sotto i nostri occhi". Sono bianchi e neri, uniti solo dal fatto di avere "un sogno un po' troppo grande e una vita un po' troppo piccola e così difficile da sopportare".
E' la storia, postuma, di quell'ultimo viaggio. Il fatto di raccontare una storia immaginaria non rende meno drammatico l'accaduto. Lo rende anzi, più universale e paradossalmente più realistico. La realtà di chi si imbarca su di una "barca di legno a destinazione morte" ma, anche la realtà, di chi "ha lavorato tutta la vita per comprare la morte".
Il libro di Elalamy ci conduce in un viaggio in ogni angolo da cui il migrare può essere visto, senza pregiudizi, tra chi decide di partire, sfidando non solo il mare ma, anche l'incognita per il futuro, tra chi decide di restare e si troverà poi a piangere i morti ed infine perfino di chi da pescatore si è trasformato in scafista affermano oggi ".... ne avrei di storie da raccontare, con tutti quegli occhi aggrappati alla mia barca. Però non mi pagano per raccontare, solo per far attraversare. E dovrei sentirmi in colpa per questo!"
Un libro da leggere per entrare nei tanti angoli delle moderne migrazioni via mare e soprattutto sul nostro modo, sempre più ipocrita, di affrontare il problema senza volerlo vedere nelle sua complessità.
Youssou Amine Elalamy è nato in Marocco nel 1961. Vive e lavora a Rabat. E' un insegnante presso l'Università di Kenitra e fondatore del gruppo culturale di scrittori "Moroccan Pen Club". Scrittore che si occupa anche di teatro e arti figurative, si è occupato molto della Primavere Arabe e del terrorismo di matrice estremista.
Sulle morti nel Mediterraneo vi segnalo questi due post di Sancara- Ora Basta! La colpa è nostra ( 3 ottobre 2013)- La merce umana (10 ottobre 2013)
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