Luciano Bruno è un ragazzo che proviene da un quartiere marginale di Catania: Librino, settantamila abitanti che poggiano l’economia sulla prostituzione infantile, sullo spaccio, sul traffico d’armi. Bruno negli anni ottanta era un giovane sognatore che ambiva a diventare un calciatore ed invece si è trovato con la sua faccia scura da profondo sud e gli occhi neri di disperazione tipici del sud a vivere una esistenza al limite raccontata proprio in “Librino” spettacolo teatrale in cui la violenza subita sul proprio corpo e nel proprio luogo di appartenenza è la caratteristica principale. Del resto la formazione del ragazzo catanese è indice di appartenenza a determinati canoni: lingua preferita anche nelle interviste che oggi lo rendono famoso un mix tra italiano imperfetto e catanese (lingua del cuore e della rabbia); i suoi cantanti preferiti spaziano da Giigi Finizio a Nino D’Angelo; il film che rivede con maggior piacere è “La scorta”; le letture preferite oltre alle poesie d’amore (piccolo debole) tributano omaggio al giornalismo antimafia e a Pippo Fava in modo particolare. Culturalmente il suo percorso come si può intuire batte la strada contigua di un qualsiasi pentito, poteva essere uno dei personaggi del film “Mery per sempre” ed invece è riuscito con abnegazione a scrivere uno spettacolo che è un reportage sulla sua vita: fuga da una famiglia di mafia, garzone al mercato del pesce a 11 anni, dopo macellaio salariato, operaio, scaricatore, costretto ad essere per un periodo anche “ragazzo di vita” e poi attore. Una vita/storia che sicuramente piacerebbe ad uno come Pippo Delbono, che sta nel solco di Ciprì e Maresco, ma trova diretta discendenza nella scuola di Emma Dante stessa.
Lo spettacolo è tenuto quasi clandestino nelle ex officine del Gapa nel quartiere San Cristoforo, uno dei quartieri catanesi ad altissima densità mafiosa (famiglie Savasta, Cursoti, Santapaola, Mazzei) dove i giovani dividono le azioni in “sbirritudine” (tradimento) e quelle che invece no. Apparentemente è il racconto di una partita di calcio impossibile a farsi, nell’attesa del campo da costruire, ma in realtà Bruno dice che non basta arrestare i capi mafia e fare proclami ai tg nazionali, serve soprattutto costruire campi di calcio e non farne delle utopie che se così fosse tutta la bruttura che ha attraversato lui nella vita non toccherebbe a tanti altri ragazzini che poi per forza di cose diventano mafiosi. E’ un monologo interiore questo racconto che nasce appunto dall’esigenza di raccontare dal basso a tutti quelli (e soprattutto ai giovani) che vedono le miserie di quartieri come Librino, una febbre di parole che diventano gesti teatrali, unica resistenza possibile nell’assenza di bellezza.
Luciano Bruno un nome da tenere sotto osservazione, poiché come mi garantiscono i siciliani del posto ma anche le cronache di questi tempi, sicuramente uno che di strada ne farà tanta e aggiungo se la discendenza è quella di Emma Dante allora possiamo stare veramente tranquilli.