Io e te non ci siamo mai piaciuti, sin dai tempi dello studio di Lavorare stanca. Poi è arrivato La luna e i falò e Dialoghi con Leucò, ma il feeling è solo peggiorato.
Io non mi sono arresa e ho letto anche Paesi tuoi e devo dirti, Cesare, che per noi due non c'è proprio speranza, siamo fatti di sostanze diverse e ci piacciono cose proprio diverse. Campagna, realismo, ignoranza, tutti argomenti di cui proprio non mi piace leggere. Fatte queste doverose premesse, Cesare, Paesi tuoi è un gran bel romanzo breve, anche se a me non è piaciuto.
Il titolo è molto evocativo e ci racconta bene la storia che andiamo a leggere. Ci descrive quella estraneità, quel rigetto, che Berto proverà nei confronti di Talino, della sua famiglia, della mentalità campagnola così diversa da quella della sua Torino - l'amata Torino che ricorre in tutti i testi di Pavese-, stessi sentimenti che anche il lettore finirà per provare, quasi con disgusto, volendosi allontanare da quella realtà così marcia e diversa. Ma Paesi tuoi sono anche Paesi nostri, l'autore ce lo dice a gran voce, fanno parte del vissuto del nostro paese, costituiscono le radici da cui lentamente siamo emersi e che non possiamo rinnegare, biasimare sì, ma non rinnegare.
La storia non sto qui a raccontarla, come sempre è molto facile reperire la trama di un libro, ma soprattutto in questo caso, il romanzo è così breve che dire poco è dire troppo. Ma questo romanzo non è solo un romanzo della trama, non è importante l'epilogo, quanto lo svolgimento, i gesti dei personaggi, le sensazioni provate dal narratore Berto che si trova straniero in campagna, in una cultura diversa, con un registro linguistico diverso. E forse proprio nella lingua risiede il vero realismo di questo romanzo, nel continuo passaggio dalla lingua di campagna a quella che Berto userebbe in città, un alternarsi continuo di vocaboli, tempi verbali, espressioni gergali, che se da un lato disturbano e danno il mal di mare, dall'altro danno vita alla rappresentazione.
Di pari passo alle diverse lingue, corrono i diversi sguardi posati sulla campagna, uno di diniego della grettezza dell'uomo, della sua arretratezza culturale, l'altro di ammirazione dei luoghi, della natura limpida eppure concreta, e delle donne, in particolare di Gisella. Un continuo conflitto tra bello e brutto, tra amore e odio, quello vissuto dal lettore attraverso Berto, un continuo conflitto che è l'anima del romanzo.
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