È una storia che lascia l’amaro in bocca quella raccontata venerdì 9 novembre da Il corriere della sera. Vi si parla di un gruppo di sei bambini triestini di 8 anni che si sono visti recapitare a casa una bella lettera con cui il presidente della società sportiva di appartenenza comunicava loro di non poterli tesserare per il 2012-2013.
Motivo ufficiale: la necessità di sfoltire il gruppo, per l’impossibilità di seguire tutti i ragazzi già tesserati. I bambini “licenziati”, si leggeva su quotidiano milanese, erano rimasti così male da volere abbandonare lo sport. Aver dovuto leggere una vicenda così sbagliata ha fatto male anche a noi.
Primo errore: un bambino di 8 anni non è un esodato, cui il datore di lavoro comunica per posta, secondo i canoni burocratici, che deve abbandonare il lavoro per inderogabile ristrutturazione aziendale. I bambini quando si vedono spezzare i loro sogni hanno bisogno di spiegazioni, di dialogo, di umana attenzione, di affetto e di consolazione. Niente che si trovi in una lettera circolare. Quel presidente poteva almeno parlare con loro.
Secondo errore: per i bambini e i ragazzi il gioco è un diritto umano sacrosanto, riconosciuto dalle massime autorità sovranazionali. Mettendo alla porta i piccoli tesserati, quella società sportiva ha violato, oltre al buon senso, un diritto stabilito in una convenzione recepita dallo Stato italiano.
Terzo errore: i club del calcio professionistico non possono mettere alla porta i giocatori sovrannumero, e se si azzardano a provarci vengono puniti di brutto secondo le norme sportive vigenti. Possibile, invece, che i diritti dei bambini che fanno sport ancora oggi non siano garantiti da alcuna norma?
Quarto errore: in una società sportiva bene organizzata e bene motivata 6 ragazzini in più non possono costituire un peso insostenibile. Se ciò accade, o latita l’organizzazione o latita la motivazione. Soprattutto latita il senso di responsabilità.
Quinto errore: non risulta che alcuna istituzione, amministrativa o sportiva, si sia fatta viva con le famiglie di quei sei ragazzi per scusarsi e promettere l’impegno perché non accada mai più. Un silenzio che stona e fa dubitare del futuro. Che senso ha affermare di volere ampliare il bacino dei ragazzi sportivi, se poi di fronte a una società sportiva che “licenzia” sei bambini e espone il cartello virtuale “Andate altrove. Siamo al completo”, nessuno accerta, nessuno si indigna, nessuno interviene?