La proprietaria di questo impressionante curriculum è Licia Troisi, romana, star incontrastata del fantasy made in Italy e idolo di una schiera di lettori adolescenti che vanno pazzi per i mondi immaginari che questa autrice regala loro in abbondanza.
Lo scorso maggio Licia Troisi ha presentato al Salone del Libro di Torino la sua ultima fatica letteraria, I regni di Nashira 2. Le spade dei ribelli. In una sala stipata fino all’inverosimile, in compagnia dello scrittore Sandrone Dazieri e della direttrice editoriale della linea ragazzi di Mondadori Fiammetta Giorgi, la scrittrice ha incontrato il suo pubblico, disposto a fare code chilometriche pur di aggiudicarsi una firma. E lei, paziente, ha accontentato tutti.
In casa mia i libri di Licia Troisi, oggi tradotti in diciannove lingue, abbondano. Mio figlio Lorenzo, dodicenne, è un fan della scrittrice (io per ora ho avuto solo il tempo di sbirciare qualche pagina ma grazie ai suoi riassunti è come se li avessi letti tutti) e dopo l’incontro per questa intervista, la sua prima domanda al telefono è stata: “Mamma, lei com’è?”.
Al contrario, Licia Troisi è arrivata al nostro appuntamento con cinque (ma proprio solo cinque) minuti di ritardo e ha chiesto scusa dieci volte, non ha perso il sorriso anche se ha dovuto ripetere per l’ennesima volta cose che dice da sempre, si è lasciata fotografare con pazienza e ha dimostrato grande disponibilità anche nei confronti di chi, come me, non scrive per i grandi media nazionali.
Una conversazione articolata e piacevole dalla quale ho tratto l’immagine di una persona genuina, il cui look rispecchia i mondi fantastici che racconta al suo pubblico. Una donna che si è laureata con una tesi sulle galassie nane e che ha letto diciassette volte Il nome della Rosa di Umberto Eco “per trovarne ogni volta significati diversi”. Una persona fuori dal comune che inventa storie da quando era bambina.
Hai cominciato a scrivere giovanissima. Come è nata questa passione?
L’ho percepito come un bisogno. Ho cominciato a scrivere a sette anni, più o meno quando ho cominciato a leggere, probabilmente perché i miei genitori erano forti lettori e sono cresciuta circondata da libri. I miei mi raccontavano tantissime storie e quindi per me era naturale raccontarne a mia volta
Ma erano già storie fantasy?
Le prime erano favole. Mio padre le ha ancora nella sua libreria perché con pazienza si mise a trascriverle al computer, io le illustrai e ne facemmo un libro rilegato che si intitolava Le mille e una Licia. Ora è lì in casa come ricordo.
Il primo tentativo serio?
A 20 anni ho “trovato” la storia delle Cronache del mondo emerso. Mi sembrava di sentirla in modo sufficientemente forte per scriverla. Prima mi ero cimentata solo con racconti brevi.
Come è nata?
Mi è venuto in mente prima prima il personaggio di Nihal, la protagonista. In quel periodo avevo cominciato a conoscere in modo più approfondito il fantasy che fino a quel momento mi aveva interessata più come videogiochi, fumetti e cartoni animati. Mio marito ed io cominciammo a leggere i libri di Rowlen, Tolkien, Marion Zimmer Bradley. All’epoca avevo l’abitudine di raccontarmi delle storie prima di addormentarmi, perché a quell’età, beata gioventù, ancora avevo bisogno di conciliarmi il sonno. Così, mi raccontavo queste avventure che si sviluppavano notte dopo notte ed era proprio come se nella mia testa scrivessi dei libri. Quella di Nihal è nata così. Prima de lei ne avevo già pensate molte, ma nessuna mi aveva convinta a fare il passo dal letto alla scrivania.
No, si chiamava Leida, nome di una città olandese importante per la fisica, ma quando Mondadori ha letto il manoscritto ha pensato che era meglio cambiarlo perché, prima di tutto, gli editor non ricordavano mai il suo nome e in riunione finivano sempre per dire “Quella, come si chiama? Ah, sì, Nihal…” E poi il nome Leida faceva troppo Star Wars. Così, ho scelto Nihal che è il nome arabo di una stella, che significa “cammelli che si abbeverano”, però quando l’ho deciso ancora non lo sapevo.
Tu sei un personaggio particolare nel panorama letterario internazionale. Essere astrofisico non è un percorso abituale per gli scrittori, gente di formazione umanistica più che scientifica. Come mai questa scelta?
Nella mia vita la scienza e la letteratura scorrono da sempre in modo parallelo. Vengo da una famiglia in cui la scienza è di casa, mia madre ha studiato biologia, mio padre ingegneria, ho uno zio fisico e da bambina in casa circolavano riviste di alta divulgazione scientifica americana, ma c’erano anche libri di ogni tipo e io ho considerato sempre la cultura come un tutt’uno. Negli studi mi sentivo più portata per la scienza, mi appassionava in particolare lo studio del cielo.
Ti ha aiutata questa formazione scientifica nella scrittura?
Credo di sì. Il rigore scientifico ti abitua a una certa forma mentis, a una disciplina che poi puoi applicare a quello che scrivi, come la facilità nel fare schemi, scrivere un certo numero di pagine al giorno, etc… Io sono molto metodica perché sono un tipo ansioso e quindi ho bisogno di incasellare tutto per ridurre quest’ansia.
Com’è la tua giornata tipo?
Da un anno e mezzo, dopo il dottorato in astronomia, la mia vita è un po’ cambiata perché collaboro meno con l’Università e la scrittura è diventato il mio lavoro principale. Scrivo di mattina dopo che mio marito e la bambina, che ora va all’asilo, sono usciti. Ho degli schemi che mi dicono capitolo per capitolo quello che scriverò. In linea di massima scrivo più o meno un capitolo al giorno. Il pomeriggio se ho qualcosa da fare per l’astrofisica mi dedico a quello.
Qual è il libro che ami di più tra quelli che hai scritto?
È l’ultimo, che non è ancora uscito e sarà il libreria ad ottobre, sempre per Mondadori, con il titolo Il sacrificio. È il terzo libro della saga di Nashira, composta da quattro libri in tutto. Mi sono veramente tanto appassionata mentre lo scrivevo e credo sia quello che mi è riuscito meglio.
Mi piace moltissimo quando qualcuno mi dice che si è avvicinato alla lettura grazie ai miei libri. Me lo dicono spesso i lettori e anche molti genitori di lettori. Questo mi gratifica tantissimo perché penso che la lettura sia un’esperienza fondamentale nella vita di un essere umano e che anche attraverso di essa si possa migliorare come persone e come società. Leggevo proprio pochi giorni fa in un articolo di neuroscienze che la lettura funziona come i programmi di simulazione per i computer: addestra il cervello. Quando ad esempio tu leggi la descrizione di un odore, nel tuo cervello si attiva esattamente la regione che percepisce realmente gli odori.
Pensi di cimentarti anche con altri generi in futuro?
Non mi precludo nessuna strada, per me la cosa fondamentale è scrivere storie che mi appassionino e che mi divertano perché penso che sia il requisito fondamentale per poter appassionare e divertire anche il lettore. Mi rendo conto che tutte le mie storie hanno un germe di fantastico più o meno evidente, quindi è qualcosa che fa parte profondamente del mio immaginario, ma se domani mi dovesse venire in mente una storia che non ha assolutamente niente a che fare col fantasy, ma che sento l’esigenza di raccontare, lo farei.
Quando scrivi hai un pubblico-target in mente?
Credo che il target sia un problema dell’editore, io racconto storie che mi appassionano e ho un lettore ideale in testa che coincide con i miei gusti, che evidentemente sono anche i gusti di molti adolescenti, ma non solo.
Tu sei stata oggetto anche di critiche feroci. Come hai reagito?
Alcune mi riesce davvero difficile rubricarle sotto la voce critiche. I miei lettori stanno tantissimo online e su Internet spesso gli aspetti deteriori della natura umana vengono esaltati; l’insulto mi dà molto fastidio e purtroppo se ne trovano. Ma anche senza questi estremi, è ovvio che la critica negativa ti colpisce sempre, però a volte, se ne capisci il perché, la accetti. Alcune critiche però sono strutturate in modo da essere, se non smaccatamente offensive, sicuramente fastidiose perché hanno un tono così polemico che rende difficile capire se c’è del buono dentro, non riesci mai a renderle costruttive. Mi dà fastidio soprattutto quando vengo criticata per cose che non c’entrano con la mia scrittura, come “sei troppo giovane”, “non hai fatto la gavetta” o “non ha senso che pubblichi con Mondadori alla tua età…”.
Una cosa è scrivere, un’altra è parlare alla gente da un palco. Tu ormai da anni fai tour di presentazione dei tuoi libri in Italia e all’estero. Come vivi l’impatto con il pubblico?
Io ho fatto la prima presentazione della mia vita a Torino nel 2004, avevo 23 anni e l’impatto è stato forte perché non ero mai stata nemmeno alla presentazione di un altro autore, quindi non avevo idea di come funzionasse. Tuttavia, non ho grandi problemi a parlare in pubblico perché mi sono allenata quando andavo alle superiori, partecipavo alla piccola politica della scuola e mi sono abituata a parlare all’assemblea di istituto dove, se dici cose che non piacciono, ti arrivano gli insulti di tutti… E poi è anche carattere, io tendenzialmente sono logorroica.
Mio figlio, tuo grande fan, ha letto che c’è un progetto di videogioco e uno di una serie Tv tratti dai tuoi libri. Lui, come molti altri ragazzini, non vede l’ora di giocarci e di vedere i suoi eroi sullo schermo. Capiterà?
Purtroppo in Italia le piccole case di produzione di videogames non hanno i mezzi per potersi imporre in modo significativo sul mercato e ci siamo resi conto che il videogioco è una mission impossible, quindi il progetto è morto lì. Invece, per la serie TV c’è più di un progetto in ballo; questo è un buon periodo per le serie televisive fantasy e quindi spero proprio si possa concretizzare a breve.
In attesa di vedere i personaggi dei mondi di Licia Troisi muoversi sullo schermo c’è da scommettere che gli adolescenti di mezzo mondo continueranno ad “accontentarsi” di leggerli nelle pagine dei suoi libri. Che, con loro grande soddisfazione, non sono mai poche.
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