Chiusa senza troppi rimpianti la svolta action della stagione precedente, un ritorno ai casi singoli che umanizza Lightman ma toglie qualcosa alla costruzione dello script così come al lavoro sui personaggi.
Devo ammettere di aver sempre avuto un debole per i finti cattivi, anche quando il mio rapporto con gli stessi è dovuto passare attraverso un lento lavoro ai fianchi prima di arrivare alla folgorazione: dal mio "omonimo" Sawyer passando per Alex Karev ed Eric Northman, per non dimenticare il recente mito del digitale terrestre Gordon Ramsay, non sono mai riuscito a resistere al provocatorio fascino di questi all'apparenza poco avvicinabili personaggi.
Cal Lightman - come giustamente sottolinea Dembo, una sorta di versione sociologo di House - è entrato fin da subito nel novero grazie alla faccia di merda che il buon Tim Roth mette - a mio parere autobiograficamente - al servizio del suo protagonista: dopo una prima stagione folgorante, la serie pareva aver ceduto il passo ad atmosfere decisamente troppo action nella seconda annata, capace di dipingere un Lightman praticamente trasformato in una sorta di agente segreto supercazzuto alla Bourne e poco in linea con le aspettative che in casa Ford si avevano rispetto al personaggio, decisamente imperfetto nonostante i numerosi talenti.
In questa terza serie gli autori propongono una sorta di marcia indietro tornando ad un numero di episodi ridimensionato e all'eliminazione della parte che legava l'agenzia del protagonista all'Fbi con conseguente pacchetto di missioni ad alto rischio ed intrighi internazionali di vario genere: se, dunque, da un lato la dimensione decisamente più a misura d'uomo riporta il fascino indubbio che questo prodotto aveva risvegliato negli spettatori nel corso della prima stagione, dall'altro pare essersi perso l'approfondimento dei personaggi principali, resi più esili nello spessore neanche fossimo in una qualsiasi annata del pur discreto Cold case.
La storia tra Torres e Locker caduta nel dimenticatoio così come la figura dell'agente Reynolds, il sospeso tra lo stesso Lightman e la collega/socia Foster rimasto tale e quale dalla prima all'ultima puntata, la voglia di emancipazione manifestata fin dai tempi della prima stagione dallo stesso Locker parcheggiata come fosse un tratto da sfruttare soltanto per solleticare le continue punzecchiature ad opera dell'incontenibile Cal: un vero peccato, considerata la potenzialità dei personaggi, che si spera gli autori vogliano recuperare con la prossima stagione e tornare ad analizzare almeno quanto i protagonisti fanno rispetto ai casi che di volta in volta si presentano.
Ben gestito - pur se in qualche modo reiterato - il legame tra il dottore a caccia di menzogne e la figlia Emily, una delle parti più divertenti e ben costruite dell'intera stagione: insieme all'inserimento di un possibile nuovo membro della squadra, se ben studiata questa potrebbe diventare senza troppa fatica una delle linee guida più interessanti della prossima serie, proponendo in questo senso una sorta di specchio e confronto del protagonista con se stesso attraverso gli occhi ed il cuore della ragazza.
Il tutto, comunque, senza dubitare neppure un istante, pur rimanendo nell'ambito dell'intrattenimento, che questo insolente specialista della bugia possa essere in grado di stupirci di nuovo.
MrFord
"White lies for dark times and I don't need your crutch
I'm kicking out stained glass windows and I'm
Tender to the touch."
Ben Harper and Relentless 7 - "Shimmer and shine" -