Life After Death: l’intervista a Bruce, lo squalo bianco del film di Steven Spielberg

Creato il 07 gennaio 2015 da Alessiamocci

Sono da sempre un’appassionata di squali, e mi sono proposta di studiare il loro comportamento, allo scopo di esorcizzare la paura. Seguendo il detto “se lo conosci non ti uccide”, ho concentrato le mie ricerche sul “signore dei mari”, la specie più pericolosa per l’uomo, poiché più potente: il Carcharodon Carcharias, ovvero, più semplicemente, lo squalo bianco.

Memore del fatto che la mia passione per questa enigmatica creatura sia iniziata dopo la visione del film “Lo squalo” di Steven Spielberg del 1975, basato sull’omonimo romanzo di Peter Benchley, ho avvertito il bisogno di risalire alle origini, ed avere una “testimonianza diretta”, da parte di chi questo film lo ha “patito”, essendo stato dopo di allora ghettizzato. Ovvero lui, lo squalo, da tutti descritto come un mostro crudele.

Scopo di questa intervista è pertanto evidenziare che in realtà, uno squalo assassino che uccide per il puro gusto di farlo, maturando desideri di vendetta ed inseguendo all’infinito la sua preda, non esiste. Forse, dopo avere letto questa testimonianza, il terrore che suscita questo animale, legato alla paura di essere divorati vivi, si trasformerà, così come è successo a me, in semplice rispetto.

Per chi non avesse mai visto il film, si tratta della storia di un grande squalo bianco mangiatore di uomini, che semina il panico nell’immaginaria isola di Amity, rovinando i guadagni della stagione turistica. Il capo della polizia locale cercherà di ucciderlo a bordo di una piccola imbarcazione detta “Orca”, servendosi dell’aiuto di un biologo marino e di un cacciatore di squali professionista.

Il prototipo di squalo costruito per il film, venne soprannominato dagli addetti ai lavori Bruce, come l’avvocato di Spielberg, Bruce Raven. Al termine del film, venne posizionato all’ingresso degli Universal Studios, fino alla rimozione avvenuta nel 1990, ed in seguito, ritrovato in una discarica. È proprio lì che mi sono recata per realizzare la mia intervista, per la speciale rubrica Life After Death.

C.B.: Buongiorno Bruce e grazie per il tempo che ha deciso di dedicarci. La trovo bene. Cosa vorrebbe dire, in difesa della “categoria”?

Bruce: Salve a lei signorina e grazie per aver rivolto la sua attenzione ad un vecchio squalo come me, ormai in pensione, e che da anni giace in questo posto dimenticato da Dio e dall’uomo. Stamani ho incaricato alcuni conoscenti di darmi una “spolveratina”, in occasione del nostro incontro. Potrei esordire dicendo che il film de “Lo Squalo”, di cui sono stato, mio malgrado, protagonista, ha danneggiato molto l’idea che l’immaginario collettivo si è fatto di noi. So che quella di essere divorati vivi è una paura ancestrale, prerogativa della vostra specie, ma bisogna ammettere che nessuno si sia più sentito al sicuro, entrando in acqua, dopo aver visto quella pellicola. Penso voi umani abbiate sempre l’idea che un essere spaventoso e dotato di enormi fauci, possa sbucare all’improvviso e dilaniarvi. Non importa la profondità dell’acqua, oppure la zona in cui ci si immerge. Si tratta più che altro di una sensazione che non vi abbandona. E quello che vi inquieta di più, è che, in fondo, noi siamo soltanto dei pesci. In verità, siamo una specie in via di estinzione, che andrebbe protetta. Stiamo alla base della catena alimentare e regoliamo la vita degli abissi. Per questo siamo tanto importanti. Ma soprattutto, vorrei tranquillizzare i lettori, l’uomo non rientra nelle nostre prede abituali.

C.B.: Perché allora attaccate l’uomo?

Bruce: Vede signorina, noi amiamo cibarci di prede succulente e ricche di grasso, quali foche, tonni o leoni marini. Però siamo molto curiosi e, non possedendo arti, il solo modo che abbiamo per testare le cose è con la bocca. Dopo quello che consideriamo un “primo assaggio”, generalmente ce ne disinteressiamo e ci allontaniamo dalla zona. Però siamo predatori talmente possenti, che può capitare che questo nostro modo di fare, risulti devastante per l’uomo, se non addirittura fatale. Uno squalo anziano, oppure malato, potrebbe essere indotto ad attaccare una preda lenta, quale l’essere umano, ma sarebbe una questione di sopravvivenza, dettata da situazioni particolari.

C.B.: Come definirebbe un appartenente alla sua specie?

Bruce: Non siamo quei mostri che ci hanno descritto. Siamo semplicemente delle “macchine da guerra” antichissime, ed agiamo secondo gli impulsi e la fame. Vede signorina, quando voi umani entrate in acqua, siete voi stessi ad invadere il nostro territorio, e non il contrario. Quindi dovreste essere sempre consapevoli che un attacco, per quanto improbabile, è possibile. Il mito di uno squalo che uccide per vendetta, oppure per perseguitare un bersaglio mirato è inesatto. Vorrei poter dire che abbiamo questa facoltà mentale, ma noi agiamo nell’immediato e in noi non vi è premeditazione. Facendo un’informazione adeguata, si eviterebbero molti incidenti. Non è uccidendoci che si risolvono i problemi, bensì lasciando la nostra interazione agli esperti, e soprattutto evitando il più possibile i luoghi e gli orari da noi frequentati. È risaputo che cacciamo soprattutto il mattino presto, oppure al tramonto. In mancanza di luce, per poterci mimetizzare e sorprendere le prede dal basso.

C.B.: Come spiegherebbe allora le tante morti per “bocca” dei suoi “colleghi”?

Bruce: È la sventura di trovarsi sul nostro cammino. Chiunque si trovi nel posto sbagliato nel momento sbagliato deve fare i conti con noi. Tuttavia, se calcoliamo il numero impressionante di squali che muoiono ogni giorno, in seguito alla pesca indiscriminata, possiamo affermare che la proporzione è davvero iniqua. Ci sarebbe da chiedersi chi sia la vera bestia.

C.B.: Passiamo a parlare del film. Quali ricordi ha di quel periodo, Bruce?

Bruce: Signorina, adesso lei mi chiede uno sforzo di memoria notevole. Ricordo il regista, il giovane Spielberg. Era molto entusiasta di tutto e aveva con me un rapporto di amore e odio. Allora non ci si poteva avvalere degli effetti speciali e tutto era reale. Io ero troppo pesante, a volte funzionavo male, affondavo e impedivo di girare le scene. Per questo accumulammo anche un notevole ritardo sulla fine delle riprese. Avrebbero dovuto essere 55 giorni, ma si rivelarono di fatto ben 158. Allora a Spielberg venne un colpo di genio, mentre mi ripescavano con una gru dal fondo del mare e provavano a rimettermi in sesto. Egli decise di suggerire soltanto la mia presenza, impiegando un inquietante e minimalista tema musicale per indicare le mie imminenti apparizioni. Poche note, ma efficaci. A volte bastava far affiorare una pinna, altre dei barili che avevano finto di attaccare, con volgari arpioni, alla mia regale persona.

C.B.: Rispettarono le proporzioni?

Bruce: Direi proprio di no. Non esistono squali così grandi: raramente superiamo i 6 metri. Io invece ero molto più grande. Il film fu girato a Martha’s Vineyard, in Massachussets, mentre le riprese in cui si vedono dei veri squali, furono tratte nei mari dell’Australia da alcuni fotografi specializzati. Per creare l’illusione che io fossi enorme, venne utilizzata una piccola gabbia antisqualo, al cui interno vi era un nano.

C.B.: Può dirci qualcosa dei sequel che vennero girati in seguito?

Bruce: Sebbene Spielberg abbia falsato il nostro comportamento, sui film che sono seguiti, stenderei un velo pietoso. È mancato il suo “genio”. I miei “colleghi” non possedevano di certo il mio charme e le storie erano trite e ritrite. Noi abbiamo fatto il maggior incasso nella storia dell’epoca, signorina, e abbiamo mantenuto il record fino all’uscita di “Guerre stellari” del 1977. Abbiamo vinto diversi premi per la colonna sonora e il montaggio. Insomma, il nostro è stato uno dei film più belli di sempre.

C.B.: Mi allontano, dopo aver salutato Bruce, che rimane a crogiolarsi nei suoi ricordi di gloria. Eh sì, lui ha fatto epoca. È uno squalo d’altri tempi, un “gentiluomo”. E lo si evince dal fatto che si sia ostinato a chiamarmi “signorina” per tutto il tempo, incurante della mia età e della fede esibita in bella mostra al dito anulare.

Written by Cristina Biolcati


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