Life After Death: l’intervista a Dante Alighieri

Creato il 01 gennaio 2015 da Alessiamocci

“Le dolci rime d’amor ch’i’ solia/cercar ne’ miei pensieri,/convien ch’io lasci; non perch’io non speri/ad esse ritornare,/ma perché li atti disdegnosi e feri/che ne la donna mia/sono appariti m’han chiusa la via/de l’usato parlare.” – Convivio, Trattato IV, Canzone I

Dante siede su un masso nella radura tra i colli bruni della Toscana.

Alta e chiara è la notte, senza vento. Tutto è avvolto dal silenzio fra castagni e tralci secchi. L’uva riposa nelle botti delle cantine fresche dei casolari sparsi per le colline.

Anche al buio la veste sanguigna, senza pieghe risplende.

Life After Death.

I.G.: Maestro, eccomi a lei. Il viaggio è stato lungo, ma giungere tra questi dolci colli odorosi di castagne e muschio vale la notte appena trascorsa a viaggiare per mondi che non mi possono ancora appartenere.

Dante Alighieri: O fanciulla, poiché hai cotanto piacere a sentire da me novelle e intendi a udirle dalla viva voce mia, io sarò pretioso tuo Maestro – così come m’appelli -. Seguimi per codesta via (indica un sentiero nel bosco) che oscura parrebbe ad un fuggiasco, ma piacevole frescura dona a chi suole intrattenersi ne li suoi pensieri. Un viaggio deve essere onorato: mi intratterrò con te fino a che l’alba non salirà a spegnere questa luna. Sarò tuo Maestro e nella tua lingua – la quale è tanto simile seppure dalla mia così diversa – avrò piacere di dirti tutte cose che in vita mia ho compreso e reso.

I.G.: La ringrazio, vorrei cominciare proprio dalla questione della lingua. Sa Maestro che se lei non avesse scritto la “Comedia”…

Dante Alighieri: Eh, sì, ma l’ho scritta!

I.G.: Per l’appunto, ma volevo giusto sottolineare che, anche senza “Comedia”, sarebbe ugualmente passato alla Storia come il Padre della Lingua italiana.

Dante Alighieri: Io sono il primo e ciò è merito grande, ad avere reso al volgare dignità pari del latino. Nel Convivio l’ho ben detto che il “pane orzato” (la Filosofia in volgare) deve essere per tutti. Per principi, baroni, cavalieri, e molt’altra nobile gente, non solamente maschi ma femine, che sono molti e molte in questa lingua, volgari e non letterati. Anche nel “De Vulgari Eloquentia” l’ho ben detto!

I.G.: Nel “De Vulgari Eloquentia” l’ha detto in latino, ma l’ha detto, effettivamente.

Dante Alighieri: Non che vi fosse altro modo. Allora i tempi non erano certo maturi. Ci sono questioni che vanno trattate con grande attenzione.

I.G.: Capisco. Un certo Frate Ilaro del Monastero di S. Croce del Corvo a Bocca di Magno, il quale la ospitò ed ebbe da lei il manoscritto de “L’Inferno”, dice proprio che i trentaquattro canti sembrano essere stati concepiti su strutture latine.

Dante Alighieri: Il latino è pur sempre fondamento. Non mente codesto Ilaro! Invece posso assicurare che ci sono fin troppe storie sul mio conto…

I.G.: Non sono bastevoli a definirla. C’è chi dice che sua madre…

Dante Alighieri: Quella santa donna!

I.G.: Per l’appunto… sua madre sognò di partorirla sotto la pianta cara ai Poeti e lei, ancora infante, si tramutava in uno splendido pavone. Stando a questa suggestione… il suo destino era segnato… e pensare che proprio nel 2015 ricorreranno i settecentocinquant’ anni dalla sua nascita!

Dante Alighieri: Dio volle così, sono stato profeta dal principio… ma tutti codesti affabulatori, fori i nomi!

I.G.: No, Maestro. Gli informatori non posso certo…

Dante Alighieri: Ti racconto io una bella storia: c’è quel tale, con la sua Fiammina…

I.G.: Fiammetta, mi dice forse di Boccaccio?

Dante Alighieri: Proprio quello! Ha messo in giro tante di quelle fole su di me. Io mi chiedo chi mai gliene abbia dato licenza e facoltà!

I.G.: Noto una vena vagamente polemica. Eppure fu proprio Boccaccio a definire “divina” la “Comedia“! Forse che il nostro comune amico…

Dante Alighieri: Cos’è, amico tuo quel lì? Cos’è che hai partecipato pure tu alle dieci giornate?

I.G.: Maestro, la vena polemica è divenuta aorta…

Dante Alighieri: Prendi anche quel Petrarca, con Boccaccio hanno avuto tutto facile. Ai miei tempi non ero così considerato. Di certo non si disse di me che ero cultore delle lettere, di certo non mi si concesse il lauro poetico!

I.G.: Sicuramente lei, Maestro, ha fatto scelte diverse: ha sempre strenuamente difeso la sua coscienza politica e la sua libertà in un momento tutt’altro che semplice.

Dante Alighieri: Non per niente Foscolo, lo conosci Foscolo? Il giovane si è spesso ispirato alla mia figura di esule. Anche se nella sua poesia vi sono non pochi stilemi petrarcheschi. Vorrei farti notare che i tuoi amici non sono stati rinchiusi nella Torre della Castagna a lottare contro quegli scelleratissimi dei fiorentini!

I.G.: Ecco un’altra aorta! Adesso mi dica pure tutto l’astio che nutre nei confronti dei Donati, i guelfi neri…

Dante Alighieri: Astio, mi dici? I Donati hanno fatto entrare quel Valois a Firenze e han dato la mia città in mano a quel, a quel…

I.G.: Maestro, si ricordi d’onorare l’alloro che le cinge il capo!

Dante Alighieri: Quell’omo indegno di Bonifacio VIII!

I.G.: Sappiamo che Bonifacio la trattenne a Roma quando nel 1302 la condannarono per baratteria…

Dante Alighieri: A Siena l’ho scoperto! Baratteria poi, scellerati e pur privi di fantasia i fiorentini – sicuramente è stato loro negato anche l’intendimento della filosofia -. Baratteria: io stavo per rinnegare mio padre perché era un usuraio!

I.G.: Difatti nella Commedia c’è una dura condanna per gli uomini avidi come Bonifacio VIII. C’è una dura condanna per tutti, anche per quelli come Celestino V, incapaci di prendere posizione.

Dante Alighieri: C’è spazio per tutti nella Commedia, dici il vero. Anche per i grandi omini. Nell’Antipurgatorio hai letto del Bonconte da Montefeltro, quello che cadde contro gli Areatini l’undici giugno del 1289?

I.G.: Come dimenticare, nobile Maestro? Ove si getta l’Archiano ne l’Arno il Bonconte spirò… così ci racconta!

Dante Alighieri: Sì, ma io lo fo’ in terzine ed endecasillabi! 

I.G.: Certamente non intendevo provare ad elevarmi al suo “bello stilo” che le ispirò Virgilio.

Dante Alighieri: Grande uomo quel lì! Sai cosa penso ora che m’hai fatto ricordare anche delle mie battaglie, letterarie e non? Adesso che ripenso proprio alla Battaglia della Lastra che vide molti esiliati perire per amore di Firenze, m’avvedo di quanto sospirata è stata la patria mia! Non ho potuto più rivedere i miei luoghi!

I.G: Sa di sale lo pane altrui, nevvero?

Dante Alighieri: E come è duro calle, lo scendere ‘l salir per l’altrui scale! Non si puote fare lo poeta per le corti!

I.G.: Perché dopo la disfatta del 1304 non ha più tentato di rientrare a Firenze?

Dante Alighieri: Io presi le distanze da tutti! Ne ho parlato anche con il Farinata degli Uberti nell’Inferno!

I.G.: Rammento: noi posteri si legge ne la sua somma opera tutti i tormenti dell’uomo politico, del letterato, del cittadino del suo tempo e soprattutto molti vedono un processo, una trasformazione dell’uomo e dell’artista. Molti parlano di due Alighieri…

Dante Alighieri: L’Alighiero l’è uno solo: ed è sempre convinto che il Papa debba essere Papa e l’Imperatore debba essere Imperatore una volta che per divina volontà abbia ricevuto il potere. Per questo Bonifacio VIII aveva da fare pessima fine: il Comune deve essere autonomo!

I.G.: I tempi sono un po’ cambiati, adesso c’è l’Italia unificata! A proposito: ha presente il canto XXIX del Purgatorio? Ad un certo punto lei descrive tre donne che vestono rispettivamente di bianco, rosso e verde. Fede, Speranza e Carità… azzardando potremmo dire che sono divenute Uguglianza, Giusitizia, Fratellanza. Un vero profeta!

Dante Alighieri: Azzardando, già.

I.G.: Maestro, se va avanti così io non riesco a farle neppure una domanda per intero!

Dante Alighieri: Chiedimi pure quello che più ti piace, ma non levarmi il saluto: il tuo grazioso sguardo sa tramutare il male in bene!

I.G.: Maestro, la prego, non è mia velleità paragonarmi alle donne angelicate, alle vostre Muse. Non oserei mai.

Dante Alighieri: Osa, osa. Almeno così si farà tornare quella grazia che s’è smarrita! Noi le donne le amavamo in modo sublime. Pensa alla mia Beatrice: molto più che angelica, ella è testimone di grazia divina in Terra! Nessuno mai arrivò a tanto pria di me (Guinizzelli ci iniziò solamente allo Dolce Stile Novo).

I.G.: Ho notato che lei ha elevato l’immagine femminile ben oltre il soprannaturale, ma resta il fatto che questo vostro amore sembra possa avere strumentalizzato in qualche modo la figura della donna.

Dante Alighieri: La donna è istrumento di beatificazione, ma non certo è strumentalizzata.

I.G.: La Beatrice che ha rilasciato l’intervista ad Umberto Eco non la pensa proprio così!

Dante Alighieri: Quella di Eco non è certo la mia Beatrice!

I.G.: Ad ogni modo, Beatrice è la guida nel Paradiso. A volte viene sottolineato un forte legame con la figura della Vergine Maria specialmente nel Canto I, quando “li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante/ che madre fa sovra figlio deliro”. Perché ha scelto come sua guida proprio Beatrice?

Dante Alighieri: Perché anche dopo la sua morte io non ho mai smesso di amarla. Perché Beatrice è beatitudine.

I.G.: Che mi dice delle rime Pietrose?

Dante Alighieri: Beatrice è l’amore che va oltre la morte!

I.G.: Senza Beatrice non avrebbe mai potuto realizzare il libro escatologico, la “Comedia”.

Dante Alighieri: Esattamente, anche perché per via delle Rime Pietrose s’era offesa. Stavamo in Purgatorio quando l’ha detto “Quando son morta, hai piegato le penne in giù”. Dovevo rimediare. Una donna offesa è una donna che non saluta, una donna che non saluta è una donna che non dispensa gratia. Senza gratia l’omo è perduto!

I.G.: Mi tolga una curiosità. Ne “La vita nova” lei racconta il primo incontro con Beatrice in questi termini: “Nove fiate già, appresso lo mio nascimento, era tornato lo cielo de la luce quasi a uno medesimo punto quanto a la sua propria girazione, quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna de la mia mente, la qual fu da molti chiamata Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare”. Eccomi a chiederle: Beatrice è – o non è – il vero nome della sua Musa?

Dante Alighieri: Seguendo la parola del poeta Omero posso giusto aggiungere che “ella non parea figliuola d’uom mortale, ma di dio”! Del resto poco importa: il nostro amore non è di questa terra!

I.G.: Capisco bene che su questo tacerà ancora a lungo, illustrissimo. Mi dica allora se conosce Mendel’štan!

Dante Alighieri: Lo stimo molto, invero. Il vantaggio di essere mortali è potere essere tra i posteri senza che niuno tra i mortali stessi ne abbia davvero intendimento, e così ascoltare i giudizi e le novelle di tutti. Che gratioso che è quel russo! Dice della mia Commedia che è come un poliedro immenso lavorato da milioni di api e del Paradiso aggiunge che le terzine sono ingegnose almeno quanto il fugato delle variazioni di Goldberg del caro Bach!

I.G.: Parla di lei come di un randagio, un errante: “quanti sandali ha consumato poetando e battendo i sentieri da capra d’Italia”, ha scritto.

Dante Alighieri: Sapessi che dolore è vivere tra questi omini avidi. Il caro Mendel’štan lo ha capito: non mi sono mai perso nella selva, io! Il viaggio non è me che deve cambiare, ma chi legge! Eppure spesso mi pare proprio d’avere fatto un viaggio per nulla. Nel suo profondo vidi che s’interna,/legato con amore in un volume,/ciò che per l’universo si squaderna:/sustanze e accidenti e lor costume/quasi conflati insieme, per tal modo/che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.” Cui prodest?

I.G.: Maestro non dica così: tutti gli uomini desiderano naturalmente sapere, lo sa bene!

Dante Alighieri: Sapere cosa? Secondo quale verità? Questo è il dilemma. Vedo che l’aura già sparge li suoi colori. Debbo andare.

E detto questo, Dante si allontana. La veste rossa si fa sempre più pallida fino a scomparire.

Rimane il vento a smuovere i tralci secchi. Rimangono i colli silenziosi e bruni.

Sale il Sole.

 Written by Irene Gianeselli


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