Londra, 7 ottobre 2014
Di solito la mattina ci sono gli artisti di strada intenti con i loro numeri per racimolare qualche soldo. Una donna che fa le sue esibizioni con bolle di sapone gigante, che sono uno spettacolo per i bambini che si trovano lì intorno; uomini che inscenano brevi parodie, come dei numeri da circo, artisti che suonano canzoni pop e l’immancabile Charlot, che è uno dei simboli tipici del luogo.
«Signorina, perché corre così in fretta?», mi chiede un uomo che mi sembra di conoscere.
«Sono un po’ in ritardo, desidera qualcosa?», in quel momento mi sento il Coniglio Bianco di Alice, che non ha tempo per nessuno.
«Solo di poter parlare con qualcuno», mi dice tranquillo.
«Mi dispiace deluderla, ma, come vede, sono in ritardo», e anche molto sconcertata da questa insolita richiesta.
«Come desidera, ma sa un giorno senza sorriso è un giorno perso».
Colpita da quell’affermazione gli domando se già ci conosciamo. Sì, in effetti, l’ho già visto…nei suoi film! E già, perché lui è Charlie Chaplin, e vuole proprio parlare con me. Be’, la cosa non mi stupisce per nulla, ormai sono abituata a queste strane apparizioni. Ed eccoci qua, per un’altra intervista da proporre a voi lettori di Oubliette Magazine per la rubrica “Life After Death“. Vi auguro una buona lettura.
M.D.T.: Benvenuto, e grazie per averci concesso questa preziosa intervista.
M.D.T.: Per me è un vero onore, oltre che un piacere. Può parlarci di com’è iniziata la sua carriera artistica?
Charlie Chaplin: Ecco, questa parte è molto controversa, per le mie esperienze di vita. Sa, io non sono stato sempre fortunato, al contrario la mia infanzia è stata molto difficile. Sono nato in una famiglia con grossi problemi, mio padre Charles Chaplin senior era un attore di varietà con il vizio dell’alcol, mia madre, Hannah Hill, era invece un’attrice conosciuta col nome di Lily Harley. Chiaramente ho ereditato da loro la passione per l’arte e la recitazione, sebbene la mia carriera sia stata diversa. Ecco, devo dire che non ho mai avuto un vero e proprio rapporto con i miei genitori che si separarono quando io ero ancora piccolo. Per un po’ andai a vivere con mio padre, ma il tentativo fallì quindi mi ricongiunsi a mia madre che, nel frattempo, viveva in precarie condizioni economiche. Per questo motivo mio fratello Sydney ed io trascorremmo due anni fra collegi e istituti del Lambeth. Mia madre morì di depressione e malnutrizione prima che io potessi avere una piccola parte in Jim, the Romance of a Cockney, grazie alla quale ottenni la mia prima recensione favorevole. Da lì è iniziata l’ascesa, poiché ho collaborato con diversi artisti importanti come l’impresario teatrale Fred Karno, il produttore Mack Sennett. Nel 1916, però, conobbi la mia prima donna, Edna Purviance, da quel momento in poi diventò anche la primadonna di ben trentacinque film.
M.D.T.: E poi Il monello, la pellicola che realizzò nel 1921 e che la consacrò come star del cinema.
Charlie Chaplin: Vedo che lei è ben informata sulla mia vita, persino io non bado molto alle date.
M.D.T.: Sono una sua grande ammiratrice e ho letto diverse autobiografie sul suo conto.
Charlie Chaplin: Ah, ma tu guarda, be’ sono lieto di sentirle dire ciò, ma dipende anche da come sono state scritte quelle biografie. Non si sa mai che cosa si potrebbe scrivere a riguardo, solo per notorietà. A tal proposito le consiglio di leggere la mia autobiografia, credo che possa trovarla anche in italiano. Ritornando ai miei film… sì, la mia carriera subisce la svolta definitiva con Il monello. È il mio primo lungometraggio e, al di là della trama che i più conosceranno, al quale lavorai per diciotto mesi. Chi ha studiato questa mia opera, ha trovato anche alcuni aspetti pedagogici, evidenti grazie al personaggio interpretato da Jackie Coogan, il monello appunto. È un film piuttosto autobiografico, una versione romanzata della mia gioventù. Tuttavia al centro c’è la famiglia, con la sua complessità e i problemi legati al primo Novecento. La povertà è senza dubbio un aspetto che considero qui, come in altri film in cui voglio denunciare la società industriale.
M.D.T.: Come in Tempi Moderni, film del 1936.
M.D.T.: Sa, sono felice di questa nostra conversazione, poiché sto ripercorrendo direttamente con il suo creatore la filmografia che gli appartiene e che l’ha reso famoso.
Charlie Chaplin: Chieda pure ciò che desidera, il successo rende simpatici [Ride].
M.D.T.: Ha parlato di Tempi Moderni, un film che è stato acclamato dalla critica, ma ne abbiamo tralasciato uno importante che lei ha realizzato prima: Luci della città, del 1931, in cui a recitare con lei c’è Virginia Cherril che interpreta la parte della fioraia cieca. Può parlarci di questo film e del motivo per cui l’ha realizzato?
Charlie Chaplin: Il film è proiettato nel periodo in cui si assiste a un cambiamento importante in ambito cinematografico, l’avvento del sonoro. Tuttavia io non sono interessato alla tecnica, preferendo l’immagine al suono, perciò continuo a produrre film nel mio stile sebbene mio fratello Sydney mi abbia più volte dissuaso da questa mia scelta per lui insensata. Si
M.D.T.: Questa interpretazione del film è molto interessante e, sebbene appartenga al primo Novecento, il concetto è valido anche per la società odierna. Lei ha parlato delle tecniche dei cinema muto e del confronto con il sonoro, ma a un certo punto della sua carriera anche lei si adegua agli standard. È il momento, dunque, di parlare del film Luci della ribalta che viene proiettato al cinema nel 1952. Che cosa può dirci al suo riguardo?
Charlie Chaplin: Luci della ribalta è l’ultimo film che ho prodotto con non poche difficoltà derivanti dal maccartismo. È un periodo in cui si ha paura delle possibili influenze comuniste sulle istituzioni statunitensi, che sono state favorite da testimonianze riguardanti i casi di spionaggio a favore dell’Unione Sovietica. Le mie idee che erano di forte stampo populistico furono guardate con sospetto, perciò dovetti abbandonare gli Stati Uniti per ritornare a Londra. Ritornai negli USA solo nel 1972 per partecipare alla cerimonia degli Oscar. Il film ricevette il premio come Miglior colonna sonora. Nel film interpreto la parte di Calvero, un clown che col tempo ha perso il suo successo che si era faticosamente costruito. La sua unica consolazione è l’alcol, come avviene per il milionario di Luci della città. Ai suoi occhi è l’unico modo possibile per reagire alle ingiustizie che è costretto a subire. Eppure l’incontro con una ballerina, interpretata da Claire Bloom, che è avvilita poiché a seguito di un incidente crede di non potersi riabilitare, gli permetterà di reagire alla situazione. È un film molto evocativo, in cui rendo omaggio all’arte in tutte le sue possibili forme. Ovviamente i problemi emersi dal film sono quelli che appartengono alla mia intera produzione, ma in questo film c’è la mia esperienza di artista ormai maturo rispetto al Charlot del passato. Qui sono maggiormente attento alle dinamiche dell’amore: «Il cuore e la mente, che grande enigma!»
Charlie Chaplin: Le riporterò una frase che appartiene proprio a Luci della ribalta e che pronuncia Calvero alla ballerina, penso che sia molto espressiva: «Ti criticheranno sempre, parleranno male di te e sarà difficile che incontri qualcuno al quale tu possa piacere cosi come sei! Quindi vivi, fai quello che ti dice il cuore, la vita è come un’opera di teatro, che non ha prove iniziali: canta, balla, ridi e vivi intensamente ogni giorno della tua vita prima che l’opera finisca senza applausi».
Written by Maila Daniela Tritto