Lilac di Alessia Esse – capitolo 6

Da Thefreak @TheFreak_ITA

“Che cosa?! No! No!” Il mio, ora, è un grido disperato. Un grido congelato nel silenzio del giardino, nel silenzio delle donne che guardano una delle guardie portare le mani di Baguette dietro la schiena, tirar fuori dal cappuccio un nastro nero e usarlo per immobilizzare la mia amica.

“Presidentessa, no! La prego! Non lo faccia, non-”

“C’è un motivo per cui certe cose sono proibite,” dice Vega G. a voce alta. Talmente alta che mi spaventa. Parla a tutte, ma è a me che si rivolge. “C’è un motivo per cui esistono certe leggi, Lilac Zinna, e tu lo sai bene. Chi sbaglia deve pagare, sai bene anche questo.”

Dietro di me, una delle guardie parla al telefono, probabilmente col carcere di Parigi. Baguette è tenuta ferma dalle mani dell’altra guardia, e continua ad osservarmi con gli occhi pieni di lacrime. La mia amica. La mia Baguette. Verrà portata via, e probabilmente
non la vedrò più. “La perdoni,” dico a Vega G., anch’io a voce alta. “La perdoni, Presidentessa. Invoco il suo perdono per Margot Riford.”Attorno a noi, le donne si trasformano in uno sciame agitato di voci.

Ha chiesto il perdono? E’ impazzita?

Mai nessuno ha chiesto perdono a Vega G.

Finiranno a Parigi insieme.

Vega G. resta immobile per qualche istante, come se stesse elaborando la mia richiesta. So che mia nonna mi sta guardando, posso sentire il suo sguardo su di me. So anche, però, che finora non è intervenuta per fermarmi.

“Pensi al suo discorso di poco fa, Presidentessa,” proseguo. “Pensi a ciò che ha detto. Lei e l’USP lavorate per il nostro benessere. Lo fate ogni giorno. Quando istruite le insegnanti grazie alle quali impariamo la storia e la scienza. Quando date la possibilità alle dottoresse di scoprire nuovi medicinali migliora-vita. Quando aiutate le donne a riprodursi, quando aiutate le orfane a crescere, studiare, procreare. Lei è con noi da sempre, Presidentessa. Ed ha ragione, quando dice che c’è un motivo per cui certe cose son proibite. E’ vero, è così, e io le credo. Tutte noi le crediamo. Tutte noi sappiamo che esiste una legge e che bisogna rispettarla. “E’ per questo che so di non avere alcun diritto nel chiederle di graziare Margot. Eppure sono qui, adesso, e le chiedo un’eccezione. La prima eccezione, l’unica. Perché se è vero che siamo Una Sola Persona, se è vero che lei rimarrà al nostro fianco sempre, allora è anche vero che Margot merita una seconda opportunità. Per capire, per imparare. Per apprezzare le regole nello stesso modo in cui le apprezzo io. Le dia questa opportunità, Presidentessa. La perdoni.” Non sono la sola a trattenere il fiato. Tutte le donne sono ammutolite. Guardano Vega G., guardano me. Anche le due guardie sono ferme, in attesa. E’ Baguette a dire qualcosa, a voce così bassa che forse sono l’unica a sentirla.

“Perché ti stai cacciando nei guai per me. Perché.” Vorrei risponderle. Dirle che non ho scelta, perché non posso pensare di saperla lontana,incarcerata. Ma Vega G. parla per prima.“Io non regalo opportunità, Lilac Zinna,” dice con calma. Anche se la sua voce non è alta, sono certa che tutte le donne possono sentirla. Nel corso di questi minuti si sono avvicinate fino a poter vedere e sentire tutto. “Io non regalo perdono. Io non concedo la grazia a chi sbaglia, soprattutto a chi lo fa con coscienza, con premeditazione.” Guarda Baguette prima di aggiungere: “Con arroganza. Margot ha ammesso di aver violato la direttiva 761. Ha ammesso di usare un oggetto proibito e di ascoltare, con esso, musica proibita. Eppure tu mi chiedi di darle una possibilità. Lo fai sfidando la legge, Lilac Zinna. Lo fai sfidando la mia autorità.” Vega G. si avvicina fino a che il suo respiro caldo soffia sul mio viso.“Ci vuole coraggio per fare ciò che hai fatto. Ci vuole forza per sfidare me e la legge. Ci vuole un pizzico di follia per andare contro ciò in cui credi, pur di salvare qualcuno a cui tieni. Ti ammiro, Lilac Zinna. Ti ammiro davvero.” Inspira, si guarda attorno. “Ed è per questo che concederò il perdono a Margot Riford. E’ per questo che farò un’eccezione.” Fa un passo indietro, solleva la testa come a farsi sentire meglio. “Lasciala andare, Elettra,” dice alla guardia che tiene ferma Baguette. “Lasciala libera.” E’ in quel momento, quando capisco che ce l’ho fatta e che Baguette non è più in pericolo,che riprendo a respirare. Elettra, la guardia con gli occhi azzurri,scioglie il nastro nero che teneva fermi i polsi di Baguette. Lei mi sorride. Elettra la spinge verso Vega G., la quale appoggia una mano al centro della schiena di Baguette. “Hai molto da imparare, Margot Riford. Per fortuna hai un’amica in grado di insegnarti tutto. Cogli questa opportunità,”dice sorridendo. E poi, in un sussurro: “Non ne avrai altre.” “Grazie,” le dice Baguette. “Grazie per-” “L’oggetto proibito,” dice Vega G. senza ascoltarla, rivolgendosi alla guardia che lo tiene ancora in mano. “Dallo a me, Celeno.”

Celeno, più bassa di Elettra, ma ugualmente imperiosa, appoggia il lettore sul palmo di Vega G., la quale lo osserva con attenzione. Alza lo sguardo su Baguette e le domanda, “Dove lo hai preso?” Quando Baguette esita, aggiunge: “Tranquilla, Margot. Ti ho già perdonata.” “Era di mia madre,” risponde Baguette. La Presidentessa annuisce, prima di passare l’oggetto a Celeno. “Distruggilo,” le dice. “No.” La voce di Baguette è strozzata dal dolore.

“Non puoi avere tutto, Margot Riford,” dice Vega G. e, potrei sbagliarmi, ma sembra quasi che nei suoi occhi vi sia una goccia di piacere nell’ordinare la distruzione dell’oggetto proibito. Celeno distrugge il lettore mp3 davanti ai nostri occhi. Lo appoggia sul prato finto, e dal cappuccio estrae una piccola sfera bianca, che sistema sul display. Dal buffet afferra un bicchiere d’acqua, e non appena ne versa un po’ sulla sfera, questa diventa liquida. Deve trattarsi di un acido, poiché nel giro di pochi secondi un filo di fumo si alza dal lettore, che si scioglie assieme alla sfera. Ecco la loro arma, penso: una sfera più piccola di un’unghia.

“Questo è un giorno di gioia,” dice Vega G. ad alta voce. Si volta verso le donne che la osservano con gli occhi larghi per lo stupore. “Abbandoniamo il dramma e torniamo a festeggiare, donne di Malorai.” Indossa gli occhiali fascianti e si incammina verso il buffet, seguita dalle due guardie. Baguette resta a guardare il suo prezioso lettore, una chiazza di liquido nero sul prato verde. Le appoggio una mano sulla spalla, e mi accorgo che sta tremando. “Va tutto bene,” le dico sottovoce. “Baguette, sei salva.” “Perché l’hai fatto?” chiede alzando il capo. “Perché, Lilac? Avrebbe potuto mandare anche te a Parigi. Cosa pensavi di fare, eh?” Muove la spalla fino a scostare la mia mano, e ad un tratto mi ritrovo arrabbiata.

“Cosa pensavo di fare? Io? Perché hai portato quell’aggeggio qui? Perché lo hai tirato fuori dalla borsa? Perché hai parlato in quel modo alle guardie? Ti avrebbero portata a Parigi, e lo sai cosa succede alle donne che vanno in carcere per una violazione della 761? Non sarebbe successo niente se avessi rispettato la legge, e lo sai. Lo sai bene, perché non è la prima volta che-” “Lilac, smettila. Adesso.” La nonna è alle mie spalle, i suoi occhi ridotti a due fessure cariche di rabbia. “Smettila,” ripete. “L’intera città vi sta guardando.” Ha ragione. Tutte le insegnanti, le allieve. Perfino Jeanette del Musica Per Tutti. Guardano me e Baguette litigare, dopo che le mie parole hanno convinto Vega G. a concederle il perdono. Non so perché l’ho aggredita, non so perché ho gridato. Vorrei chiederle scusa, dirle che probabilmente è stata colpa della paura, ma lei va via. Arretra verso il liceo, allontanandosi da me. “Baguette,” dico in un respiro, ma lei scuote il capo, mi regala un gesto della mano che somiglia tanto ad uno schiaffo. E va via.

L’ora successiva passa in una nube dalla quale emergo solo quando è mia nonna, con un’occhiata delle sue o una gomitata leggera, a ricordarmi come si fa a parlare. Le mie compagne, le loro madri, le insegnanti: ognuna di loro ha una parola per me, un complimento, un ringraziamento. Nonostante credano tutte che Baguette abbia sbagliato, sono felici nel saperla lontana dal carcere. Mi parlano a voce bassa, quando si complimentano. Quasi come se temessero di poter essere ascoltate da Vega G. o da una delle guardie. Ma la Presidentessa non interviene. Rimane accanto al buffet a parlare al telefono per molto tempo, e poi passa in rassegna le ragazze del corso di Storia che non ha avuto modo di salutare prima della cerimonia. Tutto procede come se nulla fosse accaduto, almeno per loro. Quando Jeanette prende a cantare l’inno dell’USP, tutte – anche la Presidentessa – si uniscono alla sua voce. Io e la nonna restiamo in disparte. Non mi ha detto nulla da quando ha interrotto il mio sfogo verso Baguette. Ha sorriso alle insegnanti, ha annuito quando le madri e le zie si sono complimentate con me per il mio discorso, ha bevuto più di un drink colorato, ma non ha proferito parola in merito a ciò che ho fatto. “Ho provato a chiamare Baguette. Non risponde,” dico ad un tratto. “Dalle del tempo,” mi risponde la nonna, quasi meccanicamente. “Sarà spaventata.” Lo so. Ed è per questo che vorrei parlarle, accertarmi che la mia sfuriata non l’abbia spaventata ancora di più. “So che non approvi,” dico alla nonna dopo qualche secondo, mentre Jeanette comincia una canzone in inglese. “So che avresti preferito che fossi rimasta in disparte.” La guardo, e il suo viso è stanco. Non sorride, adesso. Si limita ad ascoltarmi. “Ma se tornassi indietro lo rifarei, nonna. Difenderei Baguette di nuovo.” “Non ti ho educata in questo modo,” dice. “Non ti ho insegnato ad essere una ribelle, Lilac. Oggi ho faticato a riconoscerti,” aggiunge con un sorriso amaro. Solleva una mano per accarezzarmi la guancia. “Eppure non sono mai stata più fiera di te, bambina.” Mi attira a sé per stringermi. “Sono così orgogliosa della donna che sei diventata.” “Maya Kilstrom aveva ragione. Lilac non avrebbe potuto avere radici migliori.”

Vega G. è dietro di noi, e la sua voce gentile sorprende sia me che la nonna, la quale si ricompone velocemente, usando il fazzoletto per asciugarsi gli occhi. “Posso solo immaginare,” continua, “quanto sia stato intenso per lei, dottoressa Zinna, il gesto di poco fa di sua nipote.” La nonna sorride. “Lilac è molto forte. E testarda, a quanto pare.”

Vega G. sorride con lei. “Le migliori qualità, in una donna. Soprattutto in un membro dell’USP.” Inclina il capo verso di me, unendo i palmi delle mani. “Hai mai pensato ad una carriera politica, Lilac? Da quel che ho visto oggi hai tutto ciò che serve per collaborare con noi, soprattutto per quanto riguarda la diplomazia. Gran parte del mio lavoro consiste nel convincere le rappresentanti degli altri stati a rimanere unite, a non arrendersi ai problemi, in particolare quelli legati alla riproduzione.” Si gira a guardare la nonna prima di continuare. “In via strettamente confidenziale posso dirvi che nelle prossime settimane saranno introdotte numerose novità in campo medico e scientifico, soprattutto nel settore della procreazione. Viaggerò molto, soprattutto ad est, per parlare alle donne dei paesi più ostili al cambiamento, e avrò bisogno di qualcuno che, se necessario, mi ricordi quali sono le cose importanti. Mi piacerebbe che quel qualcuno fossi tu, Lilac. In fondo non hai programmi per i prossimi tre mesi, giusto?”

“No,” rispondo con il cuore in gola.

“Quale migliore occasione, allora, per aiutare me e il governo? Impareresti molto, credimi, e alla fine dei tre mesi rientreresti a Malorai per iniziare l’insegnamento. Cosa ne pensi? Lei, dottoressa?”

La nonna sorride. Il suo viso non è più pallido, né stanco. Mi accarezza di nuovo la guancia prima di parlare. “Che ne dici, bambina? Ti piacerebbe viaggiare con la Presidentessa?”

Fino a quattro ore fa, il mio più grande interrogativo era: Riuscirò a ricordare tutte le parole del discorso? Adesso Vega G. mi chiede di far parte del governo dell’USP, almeno per tre mesi. La testa mi gira, e non sono l’unica a rendersene conto. E’ proprio la
Presidentessa a stemperare il mio panico, con una risata.

“Respira, Lilac. Non devi darmi una risposta in questo momento. So che ti piace valutare, riflettere, ragionare. Un’altra qualità che ammiro in te. Quella di oggi è stata una giornata ricca di emozioni,” aggiunge alla nonna. “Credo che sua nipote abbia bisogno di riposo e di calma, prima di poter prendere una decisione. E non temere, Lilac: non sei in alcun modo
obbligata ad accettare.”

“Mi sento onorata,” dico dopo aver deglutito. “E per me sarebbe un onore ancora più grande viaggiare con lei durante l’estate, Presidentessa Vega. Prometto di pensarci, e di darle una risposta al più presto.” Allungo la mano per stringere la sua, fasciata dal guanto corto.

“Perché non riparlarne domani?” chiede alla nonna. “Questa sera volerò a Parigi, ma fra ventiquattro ore sarò di nuovo a Malorai, per una visita al reparto Procreazione dell’ospedale. Potremmo incontrarci in serata, quando che avrò concluso i miei impegni
ufficiali. Potrei rispondere a tutte le tue domande, Lilac.”

“E’ deciso, allora,” dice la nonna annuendo verso di me.

***

Diverse ore dopo – dopo aver visto Vega G. ripartire col suo corteo di sicurezza, dopo aver salutato le mie compagne, dopo aver riprovato a telefonare a Baguette solo per non ricevere alcuna risposta, dopo aver parlato con la nonna di quanto sarebbe importante per la mia carriera di insegnante lavorare per tre mesi con l’USP – mi ritrovo a letto, sveglia. E’ difficile dormire, quando la mente è accesa da mille domande. Baguette è arrabbiata con me o, come ha detto la nonna, era semplicemente scossa? Dov’è adesso? Perché non risponde al telefono? La nonna si sentirebbe ancora più sola, senza di me per tre mesi? Quando Vega G. le parlava, mi è sembrata felice all’idea, ma non sempre ciò che traspare dal suo viso corrisponde a ciò che prova davvero. E Vega G., la Presidentessa: ha detto che mi ammira, lo pensa davvero? E in che modo potrei essere d’aiuto all’USP con il mio diploma in storia? Sono questi i miei pensieri quando avverto un rumore provenire dalla mia destra, precisamente dalla finestra. Mi alzo dal letto per scostare la tenda, e riecco il rumore, stavolta più forte. Un tic sul vetro che mi costringe a guardare in basso, nel giardino. E a sorridere.

“Temevo di dover usare tutti i sassolini del giardino di Francesca,” dice Baguette quando apro la finestra. Getta a terra quelli che aveva nel pugno e strofina la mano sui pantaloni.

“Ho provato a chiamarti per tutto il pomeriggio,” dico, sollevata nel vederla. “Dov’eri?”

“Ho lasciato il telefono a casa quando sono tornata a cambiarmi,” risponde. “Scendi?
Voglio farti vedere una cosa.” Il suo sorriso mi dice che non è arrabbiata. “Cosa? E perché non hai bussato alla porta?”

“Dov’è Francesca?”

“A letto. Dorme da un pezzo.”

“Ecco perché non ho bussato. Andiamo, Lilac, scendi!” dice, agitando le mani.

Cinque minuti dopo sono nel giardino. “Come stai?” chiedo. “Come ti senti, dopo oggi.”

“Come una che l’ha fatta grossa,” dice, guardandosi le mani. “Non avrei mai dovuto tirar fuori il lettore, so di aver sbagliato.” I suoi occhi azzurri brillano sotto la luce della luna. “Mi dispiace per il casino che ho creato. Quanto è arrabbiata Francesca?”

Scuoto il capo sorridendo. “La nonna non è arrabbiata. Mi ha perfino detto che è fiera di me per ciò che ho fatto.”

Baguette mi guarda in silenzio per qualche istante, prima di prendermi per mano. “Andiamo, voglio portarti in un posto.”

“Dove?” domando, avviandomi con lei nella strada deserta. Si ferma dopo pochi passi e allarga la bocca in un sorriso divertito. “Nel luogo più bello del mondo.”

(capitolo 1-2-3-4-5)

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