Rivoluzione Creativa augura a tutti i suoi membri un felice agosto all’insegna del riposo e della ricarica… ricarica nel senso di “ricaricare le batterie della creatività”, un esercizio al quale mi presto regolarmente, staccando completante la spina del solito tram-tram. Solo così infatti mi riprende la voglia di fare, e spero succeda anche questa volta.
E allora ci rivedremo a settembre, con l’arietta dei primi temporali e le notti leggermente più lunghe, ideali per seminare qualche bella storia. Ma se nel frattempo il bagnasciuga vi dovesse ispirare un pensiero o un raccontino, mandatemelo pure all’indirizzo info@willoworld.net, oppure usate la piattaforma di RC, o ancora il gruppo aperto di Facebook. Al mio ritorno verrà prontamente pubblicato sulle pagine del sito ufficiale di Rivoluzione Creativa.
Nel salutare tutti i lettori del sito, vi lascio con gli ultimi due capitoli del libro-blog Limbo, un progetto che ho iniziato nel 2006 e che finalmente trova oggi la sua conclusione. Seguirà una pubblicazione cartacea e digitale di tutta l’opera, ovviamente riveduta e corretta. Buona lettura e buone vacanze!
GM Willo
LIMBO – Capitolo 29: La Processione
Tutti udirono, nel silenzio innaturale di quel mare di nebbia, la montagna spaccarsi. Il primo fu Sawar, ancora aggrappato alla roccia. Avvertì il tremito, vide alcune crepe aprirsi sopra di lui e seppe che Druge era riuscito nella sua missione; il Gigante era stato sconfitto. Adesso però non aveva altra scelta, doveva fuggire di lì. La ferita al ventre andava meglio, ma sapeva che se si fosse mosso avrebbe ripreso a sanguinare. Non poteva contare sulla gamba ferita, ma si augurava che per scendere non gli sarebbe servita. Respirò profondamente, poi lasciò andare la presa e iniziò a scivolare sulla roccia prendendo rapidamente velocità. Rise Sawar, mentre la pietra graffiava la sua pelle e il dolore divenne qualcosa in cui perdersi. Erano solo impulsi, pensò, irreali quanto Limbo, e non sentì più niente. Si lasciò andare alla caduta, mentre rocce grandi quanto la sua testa incominciavano a rotolare lungo il fianco della montagna. Nessuna di queste, però, lo colpì. Quando toccò il terreno, continuò a rimanere cosciente, nonostante le molteplici fratture alle braccia e alle gambe. Il suo sforzo probabilmente non sarebbe bastato se qualcuno non lo avesse trascinato via da lì, mentre le pietre che rotolavano giù dalla montagna diventavano sempre più grandi e letali. Non seppe mai di chi fossero le mani che lo sorressero fino a una zona sicura, in cui finalmente poté abbandonarsi ad un sonno senza dolore e senza sogni, ma non lo avrebbe di certo sorpreso sapere che era stato proprio Nicon a salvarlo, anche lui scampato per miracolo alle forze elementali scaraventate addosso ai Testimoni di Seidon. Si risvegliò tra le braccia di Davinia, incapace di rendersi conto se si trattava di un sogno, o di una realtà di qualsiasi tipo.
«Sei tu?» provò a chiedere, ma la sua voce rimase muta.
«Dobbiamo andare…» rispose lei, poi si sentì sorreggere. Le immagini divennero confuse, la storia acquistò significati illeggibili. Nel frattempo la nebbia era scomparsa. Guardandosi intorno si accorse di trovarsi nel mezzo ad una processione, o almeno questa sembrava. Una marea di Arcon si muoveva lentamente verso un immenso globo di luce azzurra. “Che realtà era”, si chiese, ma non la combatté. Rimase fermamente aggrappato alla sua donna, mentre la luce si faceva ad ogni passo più vicina, più vicina, più vicina…
Jade e Mylo si tenevano per mano, perché se si fossero allontanati anche solo di tre passi l’uno dall’altra, si sarebbero sicuramente persi nella nebbia. Camminarono lentamente verso la direzione in cui, secondo l’orientamento dell’apprendista mago, doveva trovarsi Mountoor. Nel silenzio opprimente della prateria, tutto ciò che riuscivano a udire erano i loro respiri. Poi un rombo lontano e crescente li fece fermare. La terra sotto i loro piedi incominciò a tremare.
«Che succede?» domandò Jade, cercando gli occhi dell’amico. Mylo non seppe cosa rispondere. Attesero in silenzio, mentre il tuono cresceva. «È la terra che si spacca…» disse poi il ragazzo, «la montagna sta crollando.»
Quello che videro dopo fu più o meno ciò a cui tutti gli Arcon, Elenty e Arenty presenti sulla piana davanti a Mountoor assistettero. Dalle crepe che si formarono sulla superficie conica della montagna, una luce abbagliante fuoriuscì diradando la nebbia purpurea che aveva invaso le pianure. Il terremoto spaccò in due la montagna, che si inabissò lentamente dentro la terra, ma la fonte di quella luminescenza, il globo azzurro che rappresentava il portale dimensionale di Limbo, continuò a galleggiare sopra le macerie che venivano fagocitate dalla voragine. La terra in cui era scomparsa Mountoor si richiuse ad una velocità impressionante, erba fresca incominciò a crescere su quel terreno nuovo su cui la sfera di luce si adagiò delicatamente. La montagna era scomparsa insieme ad ogni segno della sua esistenza.
La nebbia, diradatasi, non attutiva più i suoni, ma un silenzio di meraviglia aveva ghermito i cuori di coloro che avevano assistito a tale portento. Migliaia di Arcon ammutoliti guardavano estasiati la luce che illuminava i loro volti. Giunse il primo margine della notte di Limbo, ma il globo risplendeva come un sole sulle praterie e quasi nessuno si accorse del cambiamento di paesaggio. Ma Limbo era ancora instabile; i lampi e i tuoni, che per tutta la durata del fenomeno si erano interrotti, ricominciarono ad esplodere nel cielo. Davanti a quella folla smarrita, una voce allora si alzò, la voce di un uomo che Mylo conosceva bene; era il suo maestro, quasi un padre per lui. Si trovava su un piccolo promontorio, davanti alla sfera di luce. Tutti potevano vederlo distintamente, nella sua veste bianca.
«Arcon, avete scelto di credere in Seidon, ed Egli ha risposto alle vostre preghiere…» un mormorio si alzò dalla folla.
«Che sta dicendo?» Jade era confusa. Mylo scosse la testa.
«Le antiche città non torneranno dagli abissi. Limbo non si fermerà, è invece destinato a una rapida distruzione, come potete vedere…» continuò il mago, indicando i lampi nel cielo. «Ma un altro mondo vi aspetta, oltre questa luce alle mie spalle, e laggiù forse incontrerete Seidon in persona, o qualcosa che lo rappresenti.»
«È l’unico modo…» spiegò Mylo.
«Cosa?» Jade era sempre più confusa.
«L’unico modo per convincere gli Arcon a seguirlo.»
«Credevo che gli Elenty ne avessero abbastanza delle menzogne…»
Mylo ci rifletté un momento. «Temo che gli uomini non possano vivere senza menzogne. È come se non ne potessero fare a meno…»
Poi la processione incominciò, e la grande marea di Arcon si mosse lentamente ma senza esitazione verso la luce, verso la promessa di un nuovo mondo.
LIMBO – CAPITOLO 30: La Migrazione
Lontano, in una torre sotto l’oceano, Wirlock spense i monitor e si alzò dalla console. Una nuova crepa si formò su una delle vetrate che davano sui fondali marini. Il vampiro non ci fece caso e attraversò la stanza di controllo per sedersi al tavolo in cui le proiezioni degli ultimi programmatori della Rete di Hope usavano ritrovarsi per discutere del destino di Limbo. Erano passati molti cicli dall’ultima volta che si erano ritrovati; Wirlock ricordava bene quell’occasione. In verità, anche i suoi sogni erano tormentati dal rimorso per il modo in cui aveva tradito i suoi compagni, seguendo un progetto tutto suo, ma quel progetto era finalmente arrivato ad una conclusione, nel bene o nel male. La storia dell’uomo era andata per sempre perduta. Malgrado gli sforzi, non era riuscito ad isolare l’impulso inaspettato che aveva guidato la mano di Viktor, l’Aviatores che aveva cancellato il supporto in cui era scritta la storia del vecchio mondo. Wirlock non era riuscito ad isolare neanche la strana forza che aveva richiamato Mila fuori dall’oscurità, e la canzone che la stessa donna Elenty aveva usato per salvare gli altri maghi. Era come se una forza esterna agisse dentro Limbo, seguendo un piano più grande del suo. Anche il destino di Druge era un mistero. Era stato il vampiro a fare intervenire il framemaker per rivelare la vera natura dell’Arcon, ma incomprensibilmente Ryo aveva atteso molte stagioni prima di rivelarsi, anche lui guidato da una forza esterna, ignorando il programma che lo aveva generato. Aveva salvato la vita di Druge diventando il suo doppione, e poi era stato lo stesso Druge a portare a termine la missione che Wirlock aveva pensato per Sawar oppure Nicon. Wirlock si sorprese a pensare che neanche un mondo interamente generato dalla mente umana è esente da alcune inconoscibili forze dell’universo.
Davanti al vampiro vi era una bottiglia di vino, l’ultimo programma a cui aveva dato il via prima di prendere congedo dalla console. Stappò la bottiglia e si versò un bicchiere abbondante di quel liquido ambrato. Un’altra crepa apparve sulla vetrata, insieme al ghigno malefico di uno degli squali giganti che facevano la ronda attorno alla guglia.
Wirlock bevve, alla sua salute e a quella degli squali, cercando di convincersi che ne era valsa comunque la pena. La migrazione poteva essere una nuova risposta, pensò. Qualcuno all’interno del progetto ci credeva a quella teoria, e forse all’insaputa di tutti aveva innescato l’input nella matrice di Limbo. Gli Elenty avevano fatto il resto. “Interessante”, pensò, e si versò un altro bicchiere.
Un rivolo d’acqua incominciò a fuoriuscire attraverso la crepa sulla vetrata; una pausa, forse due prima che l’oceano invadesse l’interno della torre, mettendo fine una volta per tutte alla sua esistenza. Il Telaio era andato. Viaggiarci attraverso per raggiungere il portale, nel quale si riversavano gli Arcon provenienti dai remoti angoli di Limbo, poteva costargli la vita, o quella sorta di simulazione vampiresca di cui era prigioniero, ma in fondo che cosa aveva da perdere… Bevve l’ultimo sorso, chiuse gli occhi e proiettò la sua mente nell’infrastruttura di quel mondo digitale. Un’ultima volta ancora…
Non avevano forma, anche se un prodotto evoluto della chimica del carbonio le avrebbe chiamate “onde” solamente dopo averle analizzate attraverso un sofisticato strumento. Sicuramente, processate in un certo modo, avrebbero potuto trasformarsi in suoni, privi di una logica musicale, ma comunque suoni.
«Puoi sentirmi?»
«Qual’era il mio nome?»
«Chi eri tu?»
«Dove stiamo andando?»
Non potevano chiamarla oscurità, anche se la luce ormai era alle loro spalle. Erravano in una placenta vibrante, uno spazio infinito ma allo stesso tempo contenuto. La sensazione non era quella del volo; c’era stata una spinta, subito dopo aver varcato la porta di luce, ma si era esaurita velocemente. Adesso semplicemente erravano, guidati da una miriade di possibilità, puntini più o meno luminosi percepibili nella distanza. Un viaggio, non condizionato dal fattore tempo, li attendeva tutti, Arcon, Elenty ed Arenty. Quei codici si sarebbero comunque evoluti in qualcos’altro, proiezioni filiformi di vita innescate in rappresentazioni più o meno nuove.
«Rimaniamo insieme…»
«Stai tranquilla, non ti lascerò mai più.»
E ancora…
«Sei tu?»
«Si sono io.»
«Allora seguimi…»
E ancora…
«E se non mi riconoscerai nella mia forma nuova?»
«Non temere; ti riconoscerò…»
Nel viaggio le entità incontrarono altri semi di vita. Non avevano nomi come loro, non sapevano da dove venivano ed ignoravano le loro mete. Qualcuno si accarezzò e si innestò all’altro combaciando come pezzi di un puzzle, ed insieme puntarono su una stella meno fulgida ma più nitida. Laggiù li attendeva qualcosa di diverso, forse più reale, forse semplicemente diverso.
E continuarono così, ingannando il tempo e lo spazio, spargendo i semi di nuove incredibili storie.
FINE
GM Willo – Altri Lavori