Avete presente quei grafici che continuano a salire? Quelli che nelle pubblicità più ridicole sfondano il foglio e salgono oltre?
Avete presente la trama di molti film/romanzi/disegni animati di fantascienza, dove l’umanità si è trovata un posto oltre la Terra dove vivere? Pensate ad esempio a Wall-e della Pixar. Lo sviluppo, la crescita illimitata, prevede che l’umanità debba espandersi nell’universo per poter sopperire alla mancanza di risorse e mercati che un simile assioma di sviluppo presuppone. È comunque uno sviluppo esteriore – tecnologico – quello di noi occidentali, che ridiamo o guardiamo – ma sarebbe adesso il caso di dire guardavamo – con un sorriso di ironia alla concezione di sviluppo interiore professata da religioni orientali e popoli che oggi hanno abbracciato il nostro occidentale assioma di sviluppo – tra parentesi, è lapalissiano, insostenibile.
Dunque questo saggio di Latouche cade a fagiolo – visto che siamo nel blog dell’orto tanto vale giocare anche con le parole!
Pensate a molte di quelle frasi assertive che vedete o leggete nella pubblicità televisiva, nei giornali o nelle affissioni lungo le strade: sfidare i limiti, andare oltre, trasgredire.
Passare il limite
Continuamente ripetute fino alla nausea, canticchiate nei gingle, riproposte in infinite salse… i limiti che abbiamo passato – dice Latouche – sono limiti non solo geografici, ma geopolitici, antropologici, etici, simbolici. E l’andare oltre è diventato sinonimo di dominio – sì, stanno già pensando di andare su Marte o anche più in là, come in un racconto di fantascienza.
Evidenziando il carattere utopico della nostra concezione di sviluppo e progresso senza confini, Latouche propone e auspica una “auto-limitazione”. Che non è da intendere con connotazioni negative. Ma proprio il contrario. Ristabiliamo un perimetro etico che ci liberi da quella “ragione geometrica” che vorrebbe tecnica e scienza come nuova divinità da seguire incondizionatamente. Molte nuove tecnologie – come gli ogm – pongono più problemi di quanti vorrebbero risolvere – ma lo stesso discorso vale anche per quei prodotti della rivoluzione chimica in agricoltura che circa cinquant’anni fa avrebbero dovuto eliminare il problema della fame nel mondo – Fukuoka docet.
Auto-limitandoci non ci impoveriamo – più di quanto ci siamo impoveriti oggi.
Limitarsi significa responsabilizzarsi. Godere di quello che si ha. Volgere il nostro orizzonte a pratiche di “frugalità felice”.
Possiamo invertire la rotta?
Buona lettura.
LATOUCHE, SERGE, Limite, Boringhieri, Torino 2012, p. 113.
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