Lincoln

Creato il 06 febbraio 2013 da Lo Sciame Inquieto

Il regista è Steven Spielberg, ma non vi aspettate un classico colossal hollywodiano alla maniera di Spielberg. Perché, nelle oltre due ore di durata di questo film, di azione ce n’è veramente poca e anche di prosopopea hollywodiana in senso stretto.
La grande protagonista del film è la parola, una parola che raramente risulta retorica, ed è invece a volte asciutta e diretta, altre volte ambigua e sfuggente, ma sempre di grandissimo peso specifico, e lo stesso Lincoln viene presentato come un gran narratore.
Al centro del film c’è il presidente Abraham Lincoln (straordinariamente interpretato da Daniel Day Lewis), ma il film non è su Lincoln, bensì sulle ambiguità insite nel concetto stesso di democrazia, sull’impossibilità della politica di sfuggire al compromesso. L’eco della massima machiavellica “Il fine giustifica i mezzi” risuona qua e là con le sue inquietanti ombre.
Nella rappresentazione di Spielberg e del suo sceneggiatore Tony Kushner, in parte tratta dal saggio Team of Rivals: The political genius of Abraham Lincoln di Doris Kearns Goodwin, Lincoln è un grande presidente, molto amato dal popolo e perfettamente consapevole del grande potere che ha a disposizione e dunque della grande responsabilità delle proprie scelte.
Mentre infuria la guerra civile, scoppiata dopo l’elezione di Lincoln e l’emancipazione degli schiavi proclamata dallo stesso presidente, Lincoln viene eletto per il secondo mandato durante il quale porta avanti con ostinazione l’obiettivo dell’approvazione del 13° emendamento alla Camera dei rappresentanti, ossia l’abolizione della schiavitù.
Fin qui sembrerebbe il classico film americano che esalta i valori della democrazia americana e celebra i suoi miti. E invece il personaggio di Lincoln è molto più sfaccettato di quanto si potrebbe immaginare. Non è la forza dei suoi ideali a convincere gli avversari democratici a votare a favore dell’emendamento, ma la insistita pressione esercitata dagli emissari del presidente, la corruzione, lo sfruttamento delle altrui meschinerie e debolezze.
Lincoln viene presentato come un uomo con una visione politica molto concreta e ampia, con convincimenti profondi, che non affondano le loro radici semplicisticamente nell’idealità, bensì nel perseguimento di una più alta ragione di stato, che il presidente identifica nel rafforzamento dell’unione grazie alla vittoria del Nord contro i confederati secessionisti del Sud e che passa attraverso la fine di un sistema economico duale caratterizzato al Sud dallo sfruttamento degli schiavi.
A questo scopo Lincoln utilizza tutto il potere che sa di avere e persegue le proprie finalità accettando profondi compromessi e battendo strade a volte illegali o comunque moralmente discutibili. È interessante da questo punto di vista un duplice confronto cui Spielberg sottopone Lincoln: sul piano politico quello con Thaddeus Stevens (Tommy Lee Jones), il repubblicano radicale che sostiene la causa dell’uguaglianza dei neri su un piano di idealità pura e di affermazione di principio, il quale inizialmente rifiuterà la realpolitik di Lincoln, ma alla fine dovrà cedere egli stesso al compromesso politico per ottenere il risultato dell'abolizione della schiavitù; sul piano personale quello con la moglie (Sally Field) e i figli che mettono il presidente di fronte a scelte difficili tra il bene privato della sua famiglia e l’interesse pubblico della nazione.
Quando le campane suonano a festa per l’approvazione dell’emendamento e i confederati seduti al tavolo del presidente firmano la resa, il pensiero che inevitabilmente affiora alla mente dello spettatore è che la politica la fanno le persone e la qualità della prima dipende dalla qualità dei secondi. Spielberg sembra voler ribadire che la democrazia di per se è un sistema profondamente imperfetto, in cui paradossalmente chi vuole restare fedele alla purezza dei suoi ideali è destinato alla sconfitta, mentre solo chi dimostra scaltrezza e conoscenza dei gangli del sistema ottiene dei risultati. Il fatto è che questa sua imperfezione può essere messa al servizio di battaglie ideali destinate a cambiare in meglio la società, per quanto con costi elevati – come in questo caso-, oppure di orribili misfatti e interessi puramente personali.
Voto: 4/5

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