di Stefano Bruni*
*pediatra
Difficile condensare in poche righe una storia piena di emozioni e di sentimenti. È vero, siamo sul sito dei Cristiani Cattolici RAZIONALI ma per una volta permettetemi di essere irrazionale e non scientifico: non troverete note bibliografiche alla fine di queste righe. Ormai abbiamo avuto occasione di conoscerci. Da qualche tempo ho scoperto questo sito e di tanto in tanto intervengo in qualche discussione, quando ho qualcosa da condividere con voi, su specifici argomenti. Sono un pediatra e pur non essendo vecchio (ho quarantasei anni; un matusa per qualcuno, ma io mi sento ancora giovane) faccio questo mestiere da parecchio tempo. Il mio è un mestiere bellissimo, fatto di tanti episodi incredibili ma anche di una routine sempre entusiasmante.
Oggi mi è successa una cosa che desidero condividere con voi come si fa con degli amici. La storia è vera (liberi di crederci o non crederci); i nomi dei protagonisti no, per una questione di rispetto. Ho conosciuto Barbara tre anni fa quando mi portò in ambulatorio il piccolo Guglielmo. Era diventata mamma da 3 mesi ed era raggiante, come tutte le mamme. Il bimbo era bellissimo (e lo è anche ora che ha circa tre anni) e perfettamente sano. Una visita di routine che noi pediatri chiamiamo “bilancio di salute”: un controllo generale. Ho rivisto Barbara e Guglielmo diverse volte nel corso degli anni e si è creato un rapporto molto bello, di confidenza e di amicizia, come non è raro che capiti tra un pediatra e le famiglie dei suoi piccoli pazienti. In occasione di una delle ultime visite di Guglielmo, Barbara mi aveva confidato che con suo marito stavano cercando di avere un altro bimbo. Mi aveva detto che sperava che fosse una femmina, questa volta. Ma, abbassando gli occhi ed arrossendo come se si fosse vergognata per aver espresso questo desiderio, aveva immediatamente sottolineato ciò che tutte le donne dicono: “Comunque, maschio o femmina, l’importante è che sia un figlio sano”.
Circa dodici mesi fa una telefonata: Barbara, la voce emozionata e felice, mi annunciava di essere nuovamente incinta; era in arrivo un fratellino o una sorellina per Guglielmo. Di qua dal telefono una gioia grata per la condivisione: una nuova vita era in arrivo ed era stato deciso di condividere questo miracolo con me. Otto mesi e mezzo fa un’altra telefonata. Barbara, con una voce strana, mi chiedeva un appuntamento. Pensai ad un problema di Guglielmo. Invece Barbara si presentò in ambulatorio senza di lui, un sorriso tiratissimo. Trattenendo a stento le lacrime mi disse che nel corso di un’ecografia effettuata alla ventiduesima settimana di gestazione in un centro ad elevata specializzazione i medici avevano messo in evidenza una malformazione certa di un braccino e una sospetta malformazione di una vertebra che, insieme ad un ritardo di crescita intrauterina del feto, avevano suggerito il sospetto di una sindrome malformativa nota con l’acronimo di Sindrome di VATER o VACTERL. Si tratta di una patologia che può essere molto grave anche se ne esistono forme più lievi. Con la diagnosi i medici avevano anche comunicato a Barbara il consiglio di interrompere la gravidanza. E Barbara aveva deciso di interrompere la gravidanza. Benchè ciò le comportasse una evidente grave sofferenza continuava a ripetere che non se la sentiva di “mettere al mondo un’infelice”.
Parlammo a lungo. Con affetto e dolcezza ma anche con la più totale onestà le spiegai in cosa consiste questa malattia. Le feci presente che accanto a forme molto severe (che con semplicità le descrissi nel modo più obiettivo possibile: sapeva già tutto da internet peraltro) ci sono anche forme della malattia compatibili con una buona qualità di vita. Certo, anche i bimbi meno sfortunati hanno qualche problema che tuttavia chirurgia in taluni casi, e fisioterapia in altri possono migliorare o risolvere; una vita certamente più complicata sia per il bimbo che per i suoi genitori; ma pur sempre una vita da vivere e qualcuno da amare. Feci capire a Barbara che, benché convinto sostenitore della vita sempre e comunque, non avevo nessuna intenzione di giudicarla per ciò che avrebbe deciso di fare alla fine. Mi faceva tenerezza quella giovane donna disperata. Senza nasconderle le difficoltà del caso le spiegai però anche tutto ciò che per questi bimbi si può fare dal punto di vista medico. Non volli darle certezze perché nemmeno io ne avevo né ne avevano i medici che avevano posto il sospetto diagnostico con l’ecografia. Ma le diedi tutta la mia disponibilità a supportarla nel successivo percorso diagnostico e terapeutico, qualora avesse deciso di tenere il bimbo ma anche nel caso avesse deciso di interrompere la gravidanza.
Ci salutammo con la promessa che Barbara si sarebbe recata presso un consultorio privato per avere un colloquio prima di prendere la decisione finale che, comunque, avevo la sensazione avesse già preso. Quando se ne fu andata provai una grande tristezza per questa donna, per suo marito (che l’aveva accompagnata nel mio studio ma era rimasto in silenzio, distrutto, per tutto il tempo) e per il loro bimbo che non sarebbe nato. E provai un grande senso di impotenza; a noi medici capita spesso di sentirci impotenti di fronte alla malattia e alla morte ma io non riesco a farci l’abitudine. Non ho saputo più nulla di Barbara nei mesi successivi. Un paio di volte avrei voluto chiamarla ma, vigliaccamente, non l’ho fatto: cosa potevo dirle? E poi forse non avrebbe avuto piacere di parlare con me conoscendo il mio pensiero e magari sentendosi giudicata da me.
Ieri sera Barbara mi ha telefonato e mi ha chiesto se poteva venire in ambulatorio con Guglielmo. Questa mattina, mentre la aspettavo in ambulatorio cercavo di immaginare con un po’ di emozione come si sarebbe svolto l’incontro; cosa ci saremmo detti, se avrebbe affrontato lei l’argomento o se avrebbe fatto finta di nulla. Alle dieci, puntuale, Barbara si è presentata nel mio studio insieme al marito e a Guglielmo. Ma non erano soli. Sorridevano tutti e Barbara aveva in braccio Linda, quattro mesi, una massa di capelli neri, due occhi neri aperti come fari, un sondino naso-gastrico tenuto attaccato alla guancia da un cerotto. Ho provato un’emozione incredibile che vorrei trasferirvi ma che non riesco a descrivervi perché è indescrivibile. Ci siamo seduti nello studio tutti insieme. Guglielmo sulle gambe del papà, Linda in braccio a Barbara. Barbara mi ha raccontato di avere incontrato lo psicologo ed il ginecologo del consultorio che le avevo indicato e di aver deciso alla fine di tenere la bimba che avevano tanto desiderato lei e suo marito. Linda è nata quattro mesi fa con un braccino seriamente malformato. Dovrà effettuare diversi interventi chirurgici ricostruttivi quando sarà più grande. Ma oggi la chirurgia fa cose meravigliose. La vertebra che si sospettava fosse malformata per fortuna è normale ma in compenso la bimba è nata con una fistola tracheo-esofagea che ha necessitato la correzione chirurgica precoce. Ora è minutina e si nutre ancora col sondino naso gastrico ma per il resto è sana. Non è ancora possibile essere certi che il suo sviluppo psicomotorio sarà normale ma ci sono buone probabilità che Linda si sviluppi normalmente.
Alla fine della mia visita Barbara mi ha guardato negli occhi, ha voluto che prendessi Linda in braccio e mi ha detto: “Se Linda oggi è qui con noi è anche perché lei ha promesso che ci sarebbe stato vicino: non tradisca questa promessa!”. È una storia come tante altre. Forse nemmeno troppo interessante per qualcuno. Per altri forse patetica. Per me è una bellissima storia di amore, di coraggio e di fede ed è per questo che volevo condividerla con voi. Non voglio usarla strumentalmente né vorrei che fosse strumentalizzata. Il mio è un mestiere bellissimo, fatto di tanti episodi incredibili ma anche di una routine sempre entusiasmante. Ma l’emozione che ho provato questa mattina, vi assicuro, non l’avevo mai provata prima.