Ma le mie difficoltà nelle due lingue sono molto diverse. In italiano inizio a commettere degli errori da straniera: sbaglio il genere delle parole (se vi ricordate, per un ungherese è del tutto innaturale che le parole abbiano un genere...) o i tempi verbali (in ungherese c'è un passato solo...). Per ora generalmente me ne rendo conto subito e mi correggo, ma ormai l'ho detto e mi mette in imbarazzo. In ungherese non è la grammatica a darmi dei problemi. Nella tua madrelingua quella ce l'hai nel sangue. E' il lessico. Parole, espressioni che non mi vengono in mente, perché mi vengono in italiano o non mi vengono affatto. E continuo a pensare più in italiano che in ungherese. Se in sottofondo sento una voce parlare in italiano o in ungherese, a volte non riesco a capire subito quale delle due lingue sto sentendo, tanto mi suonano familiari entrambe. L'inglese lo uso per lavoro, quasi mai nella vita privata. Quella lingua non la sento mia, quindi non mi confonde ulteriormente. Lo svedese poi è ancora solo una sfida. Mi piace molto e non vedo l'ora di parlarlo decentemente, ma ci vuole ancora del tempo e purtroppo non riesco a dedicargli tanto quanto vorrei. Comunque ormai mi suona familiare anche lo svedese, anche se non capisco tutto.
Quando faccio una lezione usando il mio computer e un proiettore, gli studenti vedono sullo schermo un sistema operativo in italiano, ma alcune icone in ungherese. Ultimamente mi presento agli studenti dicendo che sono ungherese ma anche un po' italiana. Ma lo posso dire? Mi mette sempre un po' in difficoltà dovermi definire. Ovviamente la cosa più semplice è dire che sono ungherese e mi sono laureata a Budapest, ma ho vissuto parecchi anni in Italia e ho il dottorato italiano. Però trovo difficile trovare una giusta definizione di me che sia più corta... Forse inizio a trasformarmi in una vera migrante: non appartengo più da nessuna parte e appartengo un po' ovunque. E' una dimensione diversa. Non è quel che volevo, ma è quello che devo affrontare adesso. E indiscutibilmente ha il suo fascino.
A dirla con i Rolling Stones: "You can't always get what you want. But if you try sometimes, you just might find you get what you need."
Il quadro degli Uffizi in appendice
E dopo una lunga pausa ecco di nuovo un quadro degli Uffizi da ammirare nei suoi dettagli. Non ho ancora citato alcun quadro di Sandro Botticelli, mentre è il primo pittore che la maggior parte dei turisti vogliono vedere quando entrano negli Uffizi. Tanto è che, proprio per la sua popolarità, nutro un po' di antipatia nei confronti dei due quadri più famosi di lui, pur essendo consapevole della loro importanza. La Nascita di Venere e la Primavera ovviamente non possono mai mancare in nessuna visita e sono anche due quadri molto affascinanti, con un'interpretazione dubbia e complessa, la cui comprensione richiede collegamenti storici, filosofici e religiosi.
Però ora, infatti, non sono questi due quadri che voglio farvi vedere, ma uno meno conosciuto, la Pala di San Barnaba, ovvero una Madonna con bambino in trono tra quattro angeli e sei santi, del 1487-1490 circa. I santi sono (da sinistra a destra): Caterina d'Alessandria, Agostino, Barnaba, Giovanni Battista, Ignazio e Michele arcangelo. E' un dipinto enorme di quasi tre metri per tre.
Guardate la faccia di San Barnaba. Sembra guardare indignato San Agostino che invece appare in atteggiamento pio.
E ora guardate il volto di San Giovanni Battista, decisamente provato. (Se invece vogliamo essere cattivi, possiamo dire che ha un po' la faccia da scemo...)
Fu la pala d'altare della chiesa di San Barnaba che si trova all'angolo di via Guelfa a Firenze, e l'iscrizione sul trono è una delle più antiche in italiano su un dipinto (secondo Wikipedia è la più antica, ma quella sulla Trinità di Masaccio nella Basilica di Santa Maria Novella è senz'altro precedente...), ed è tratta dal Paradiso di Dante.