Liste. E altro.

Da Suster
Grembiule a quadretti rosso
Un sacchetto di stoffa con nome (dentro un cambio completo scarpe comprese)
C'è qualcosa nell'attesa di un inizio che mette sempre un leggero filo di...

Pennarelli a punta grossa.
Pastelli a cera.
Non saprei. Ansia? Trepidazione? Emozione? Impazienza? Agitazione? Commozione?
Tu stai lì che ripassi la lista delle cose da portare, e intanto ti accorgi che non hai pronta un'emerita ceppa di nulla. Il grembiule è da maschio, perché l'unico modello a quadretti rossi che era rimasto al supermercato era con i palloni da rugby, e la risma è sbagliata.
Risma di carta A3.
Colla stick.
No, ma poi quale accidenti sarebbe l'A3? Ma cosa devono farci con 24 risme di fogli A3 perdindirindina?
Scottex.
Fazzolettini.
Carta igienica.
Bicchieri.

Una fettina di culo no eh?
Dai, su, non essere la solita polemica. Criticona. Caustica. Insoddisfatta. Lamentosa.
Domani andiamo e vediamo. Magari non succede nulla se manca qualcosa.
Sì però io il "contributo volontario" mica lo pago, eh. Anzi, guarda, metto subito subito il bollettino nella raccolta differenziata della carta, così almeno contribuisco a rigenerare un po' di "risme", che di questo passo ci mangiamo l'Amazzonia prima della seconda elementare.
- Signora le scarpe non le ha messe?
- No.
- Perchè, sa, i bambini a volte le bagnano.
- Vabbè, ma tanto oggi sta solo due ore, scusi eh.
- Però domani le porti.
(E poi mia figlia non se le bagna le scarpe, e se se le bagna se le tiene bagnate, cribbio. Non sto qui a comprare scarpe per lasciare che diventino strette nell'orrida sacchetta con nome cucita male da me due anni or sono, quando iniziammo il nido).
- Mamma, hai visto? Guarda che bella cucina che c'è qui!
- Sì, è proprio bella.
- Mamma, ma come si chiama la maestra?
- La maestra?
Ecco, appunto, non si è presentata neppure a me.
Valeva proprio la pena farci aspettare un mese a casa per fare "l'inserimento" per poi lasciarci in un angolo a chiederci "'ndo cazzo siamo?" senza neppure fare le presentazioni.
Della bimba ai compagni. Dei compagni a lei. Di voi a me, a lei. Della scuola, delle attività, di quello che vi pare. Uh, come sono piccole queste aule.
- Scusi dove lo metto lo zainetto?
- Zainetto? Quale, questo?
- Ehm, no. Quella è la mia borsa. (Deficiente, quello a forma di elefante è lo zainetto).
Ma comunque poi sono tornata a casa e ci ho messo un paio di scarpe di prima dell'estate, nella sacchetta del cambio, dico. Taglia 23, che non le stanno quasi più. Così, tanto per farle contente. Vai a sapere quando glie le metteranno. Mai, probabilmente. E io le scarpe invernali aspetto i saldi per comprarle. Non siamo mica qui a finanziare la Primigi eh!
- Mamma, mi sa che sono ancora un po' piccola.
- Cosa, Mimi?
- Non sono ancola glande pel andale alla scuola materna.
- Ah! Ma certo che sei grande abbastanza! Non ti piace Mimi? Ma guarda che bello: quanti giochi!
- Come mai non vuoi stare a scuola? (Ah, ecco. Finalmente la cagano)
- No, lei veramente era entusiasta all'inizio. Ma ci avete fatto aspettare un mese per inserirla, è normale che si sia (fracassata le palle, almeno quanto me?)... abituata a stare a casa (sono quasi tre mesi che sta a casa, vuoi darle almeno il tempo per ambientarsi?).
- Mamma, lo dici alle maettre che sono un po' vergognosa?
Quello che proprio non sopporto è
- Adesso mamma va a comprare il pane. (IL PANEE???)
No, dicevo, quello che proprio mi fa venire i nervi è dover raccontare le cazz... le bugie ai bambini.
Quando proprio poi non ce n'è bisogno.
- No, Mimi. Non vado a comprare il pane. Ti lascio qui un poco con gli altri bambini così giochi tranquilla, e poi torno, ok?
- Babbene, mamma. Ciao mamma! (Lancio tenerissimo di bacini).
Uno sguardo di sperduto abbandono. Un attimo di panico trattenuto. Poi è subentrata la necessità sociale di darsi un tono. La civiltà della vergogna, se ben ricordo. Ricaccia indietro i lucciconi e mi fa ciao con la mano. Solo io devo aver colto nel "Ciao mamma!" accorato il grande sforzo di non farsi vedere insicura e incline agli addii lacrimosi di cui ho fresca memoria.
E' proprio grande, lei.
E io, chi l'avrebbe mai detto, mi sa che sono proprio una mezza sega.
Perché, a malgrado di questo tre mesi passati a smadonnare contro il caldo e le pupe asincrone, passati a non vedere l'ora che, nel giro di due sole ore mi son fatta venire il groppo in gola.
Quel sottile malessere che deriva dal lasciare in mano a perfetti sconosciuti, che non sanno, qualcosa che io ho costruito con cura, sangue e sudore, mattone dopo mattone. Il nostro rapporto.
Perché poi uno pretende fiducia cieca (ma su, che vuoi che sia: rimani qui in questo luogo mai visto con questi perfetti sconosciuti, ché mamma tanto torna subito) e però non pare credano di doversela meritare, danno per scontato che lo sia, che sia scontata ("No, non la saluti, la bambina, vada via ora che è distratta").
Dico, ma siamo rincoglioniti o cosa?
Quando penso che questa gente coi bambini ci lavora, e che quindi dovrebbe essere almeno un po' portata all'empatia, almeno un po' sensibile, almeno un po' saper ascoltare, interpretare i bisogni, le necessità...
Ebbene, no: le maestre nuove di Mimi non mi hanno ispirato simpatia.
Diciamo pure che mi stanno alquanto sulle palle (strano! Sei così facile da accontentare, tu!)
Ma ci sta che mi sbagli, eh. Voglio concedere loro il beneficio dell'ennesima chance.
Per quanto, è altamente improbabile che io mi sbagli sul conto di qualcuno sin dalla primissima impressione (modesta, pure, eh!).
Comunque le cose stanno così.
Sono andata a comprare il pane. Il pane e un sacco di altre cose alla vicina COOP, tanto per non rendermi complice di un inganno a danno di innocenti cuori fiduciosi.
Il cielo era infioccato di nuvole barocche, tanto per citare, ma su di me incombeva una nera nuvoletta di malumore, come chi ha dovuto per forza di cose lasciare un capitale in mano di banchieri inesperti e avventati.
(E un po' mi giravano anche perché, diciamolo, alla fine, gira che ti rigira, mi era toccata la scuola scamuffa, quella che speravo non ci capitasse. Ma tanto una vale l'altra, diceva la parte di me accomodante, che devo imparare a mettere a tacere).
Loro non sanno, quanto sia preziosa, lei.
Non sanno quanto ci voglia per conquistarla, per capire come funzionano i suoi umori pericolanti, instabili.
Ma lei se la cava benissimo, intanto. Questo è un fatto.
- Mamma, sei venuta!
Mi dice quando mi vede, mentre sgattaiola fuori da un tunnel e corre ad arrampicarsi in cima a un trespolo fuori, in quell'aiola sterrata che vogliamo chiamar giardino.
- Vieni a vedele. Ho fatto un disegno pe'tté. Mamma, c'è una bambina che si chiama Deniz, e una che si chiama Bianca.
Alla grande. Lei. E non ha bisogno di nessuno che sia all'altezza del compito di fare le mie veci.
Ad ogni modo, ho attaccato il disegno sul frigo.

(Mamma con Lania nella pancia. Foto di repertorio)


E insomma, se questi sono i risultati, vale pure la pena comprare qualche risma in più, dico io!

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