Tempo fa leggevo alcune cose su Cantor, ed ecco che la mente viene attraversata da un guizzo: cosa hanno in comune l’etoanalisi e il suo principio di corrispondenza biunivoca? Provo subito l’immediato impulso a tradurre sulla “carta” quanto mi frulla nel cervello. Lo stesso potrei dire tra l’etoanalisi e la “teoria dei colori”.Leggo delle pagine sulla “teoria dei giochi”, ed ecco che immediatamente interagisce con quanto sto pensando a proposito dei giochi di strategia tra i diversi attori sociali. La mente mette subito in moto gli ingranaggi del pensiero e intravede le possibili applicazioni per questo o quel problema pratico.Altre volte sono preso dalla frenesia di dimostrare a me stesso tutte le potenziali applicazioni che l’etoanalisi riesce a sprigionare. E così mi vien voglia di svelare quale segreto possa contenere una semplice stretta di mano, come sia possibile individuare relazioni patologiche tra due agenti, come sia possibile fare previsioni politiche/elettoralistiche in base a dei giochi di strategia.Oppure sono preso dall’impulso di svelare i meccanismi di dominio, sia nella storia che nei comuni e quotidiani rapporti umani.Anticipare come stia modificando l’asse della sfera sociale e quali conseguenze avrà per le future generazioni.E ancora: quali applicazioni alcune teorie possono avere nell’ambito delle analisi socio-culturali.Far emergere concetti nuovi o nuove configurazioni sulla personalità, sul carattere, sul potere, sulle dinamiche interpersonali.Offrire una concezione nuova ed originale del nostro essere, delle chiavi di lettura per la nostra contemporaneità.Effettuare scavi archeologici per riportare in superficie un approccio nuovo a dei problemi a delle figure.Talvolta si ha l’impressione che tutto ciò sia soltanto abbozzato, che i miei “pezzi” somigliano a delle sculture lasciate a metà, non compiute, soltanto “sbozzate”; che è difficile vedere tutto questo giochi di specchio in cui ogni pezzo che scrivo finisce con riflettersi nell’altro. Ma bisogna riconoscere, come ha scritto Marshall McLuhan, che il «medium è il messaggio»: anche ciò che scrivo è soggetto al medium che uso. Qui non scrivo libri, non scrivo capitoli, ma piuttosto “abbozzi” di libri o di capitoli, scrivo qualcosa che potenzialmente potrebbe avere la forma del libro, ma che di fatto non ce l’ha. Ciò richiede al lettore un ulteriore sforzo cognitivo, poiché è esso che deve saper costruire la mappa concettuale entro la quale saper collocare i vari punti di vista che ogni scritto esprime.Occorre uno sforzo di rielaborazione maggiore da parte di chi legge: la lettura di un sito non ha nessun ordine gerarchico, come accade in un libro stampato, le sue gerarchie saltano completamente; l’unico ordine che si rispetta è quello dell’ingresso temporale. Inoltre, la comunicazione virtuale è per forza di cose “allusiva”, più di ogni altra, poiché è una comunicazione che rimanda sempre ad altro, che non può mai essere circoscritta entro l’ambito esplicitato…Insomma, ciò che scrivo ha la forma di un labirinto…La scrittura web si costruisce come una sorta di labirinto, ecco perché essa provoca un continuo senso di smarrimento in chi legge. L’impressione che si ricava è di trovarsi di fronte a una sorta di “zibaldone”, a un guazzabuglio, senza né capo né coda, impressione intensificata dal passaggio disinvolto col quale si passa da un argomento all’altro, da un registro all’altro senza svelare, almeno all’apparenza, l’ambizione di arrivare a una forma compiuta o definita. A volte io stesso sono vittima di questa impressione. Scorrendo la mia scrittura mi sembra di navigare a vista, di scavare nel vuoto, di andare avanti senza meta e senza un vero punto di approdo…
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