Giusto il tempo di indossare un pile, e io e il mio cane pirata ci tuffiamo nella folla di bipedi e quadrupedi che farcisce la via principale di questo paesone di vallata, nevrotico di tariffe extradoganali.
La prima considerazione da ultra-trentenne è che Livigno è profondamente tamarra, nonostante le arie chic che si dà. La bulimia di insegne, cartelloni, scritte, pupazzi farebbe perdere l’orientamento anche allo shopper più in bussola: tanto che ti tocca fermare la gente con in mano la borsa che ti interessa e chiedere, per misericordia, dove diavolo l’ha comprata.
E così troverete i Galli e i Mottini, ad esempio, che vendono abbigliamento sportivo, scarpe, grandi marche, casalinghi, occhiali e orologi, senza farsi mancare la ristorazione e chissà cos’altro.
Ma guai a cercare una libreria: a Livigno ci sei per fare sport o shopping. Tutto il resto è per speleologi appassionati di rarità. Ogni tanto incontri un giornalaio per sbaglio, soffocato da tutte le insegne di sigarette, alcolici e profumi duty-free, mica che ti venga voglia di leggere. Ma di libri apparentemente nemmeno l’ombra, guai a voi.
Senza contare l’overdose di tecnologia d’avanguardia, ma la pressoché totale assenza di internet point o di aree wireless; l’abbondanza di animali ma la sconcertante mancanza di negozi dedicati – che se per caso a casa, prima di partire, non hai fatto il conto giusto delle scatolette ti tocca passare in macelleria a comprare un porcellino da latte per nutrire l’affamato fido.
A Livigno poi ci sono i proprietari di cani più antipatici del mondo: tutti impettiti col loro guinzaglio stretto in mano e quell’aria da padrone col pedigree. Amabili come un dito nel culo.Voglio dire: normalmente tra proprietari ci si scambia effusioni, saluti con le vocine da castrati, informazioni sulla regolarità intestinale o sulla disponibilità all’accoppiamento. Cose così. Qui invece paiono tutti socio-repellenti, salvo rare e piacevoli eccezioni.